di PUCCY - Ornella Baciocchi
Già
da lontano CHIOS emerge sull’orizzonte, disegnata dalle sue
alte e impervie montagne che, man mano ci si avvicina, diventano
lastre di nuda e ruvida pietra, scudi di lucido bronzo alzati verso
l’Oriente, mura imponenti erette dalla natura per un popolo fiero e
coraggioso. Il traghetto, infilandosi nello stretto canale di mare
che divide la Grecia dalla Turchia, costeggia le sponde orientali
dell’isola di INOUSSA, minuscola patria di grandi armatori,
che fronteggia le coste nord-orientali di Chios come una graziosa
damigella vestita di pizzo verde al fianco di un rude guerriero
chiuso in una lucida corazza. Appaiono quindi il porto e le case
delle città di CHIOS e di CESME, una di fronte
all’altra: qui Grecia e Turchia si guardano davvero, separate da 3
sole miglia marine. A Cesme ci eravamo arrivati in un dorato
pomeriggio di agosto 2004, con uno snello traghetto partito da
Brindisi, dopo un bellissimo viaggio marino che consiglierei a tutti
di fare, quasi una crociera, che ci aveva condotto attraverso il
Canale di Corinto all’alba, nelle acque della battaglia di
Salamina, lungo le coste dell’Attica e proprio fin sotto le colonne
del Tempio di Capo Sounion, nel ruggente stretto di mare fra Eubea e
Andros, e, infine, nel blu aperto e luminoso dell’Egeo, senza
ostacoli, fino a Chios e Cesme. Costeggiando le sue coste così da
vicino, per lungo tratto, lentamente, si è ben stampato nei nostri
occhi il suo sfidante profilo e abbiamo promesso a CHIOS che, prima o
poi, l’avremmo raggiunta. Eccoci dunque ancora in questo stretto
tratto di mare, ma la nave, questa volta, vira verso il porto di
CHIOS: scendiamo nel garage delle auto, recuperiamo i nostri piccoli
trolley dalla gabbia dei bagagli e, come tutti i passeggeri senza
mezzo, ci piazziamo dietro il portellone del traghetto. CHIOS,
sono qui, trepidante di curiosità dietro questo enorme sipario di
lamiera, certo meno bello ed elegante di quelli di velluto rosso e
oro dei teatri, ma per me, come, credo, per tutti coloro che
viaggiano per la Grecia, questo è uno dei momenti più emozionanti e
amati del viaggio. Nella pancia di un traghetto è proprio come
essere a teatro mentre si attende l’inizio di una rappresentazione:
si aspetta, si guardano le persone accanto a noi, si cerca nella
borsa il programma, si attacca discorso col vicino, ma ad un certo
punto si sta tutti zitti e si guarda fisso il sipario, arriva il
momento magico… qui non si abbassano gradualmente le luci ma urla
una assordante e lampeggiante sirena, qui non si tirano cordoni
dorati ma si mettono in moto grosse catene, qui ad anticipare la
scena non è il buio totale e il profumo di vecchi velluti ma il
primo lampo abbagliante di luce egea e la fresca fragranza del mare.
Ci siamo, la tanto attesa rappresentazione ha inizio!
Da Chios a Karfas: mai fidarsi delle prime impressioni…
Per
entrare nel porto la nave gira intorno alle malandate mura del
castello di CHIOS, costruito dai Bizantini nel nono secolo,
ulteriormente fortificato dai Genovesi nel quindicesimo secolo e
dagli Ottomani successivamente: memoria di un ricco passato,
testimone di un povero presente. Le funi, come nei tempi antichi,
vengono legate alle bitte della banchina a ridosso della città
vecchia che, da questo lato, non ha più mura e rivela le sue case,
nude e spoglie. Qui, come un tempo, arrivano le merci e i passeggeri:
dall’occidente, su navi battenti bandiera greca, croce bianca e
strisce bianche azzurre simbolo di mare onde e vento, e dall’oriente,
su navi battenti bandiera turca, falce di luna e stella a cinque
punte su campo rosso. Ma per quanto Chios, data la sua
posizione, sia da sempre un ponte fra oriente e occidente, sbarcando,
non cogliamo proprio nulla di esotico o mediterraneo, anzi, a primo
impatto la capitale dell’isola ci appare come una grigia città
industriale, un compatto schieramento di aride case in linea sul
mare, una anonima città di quasi 25 mila abitanti, praticamente la
metà di tutta la popolazione dell’isola, ben lontana dalle usuali
atmosfere delle isole greche. Avendo prenotato un auto con ritiro e
riconsegna all’aeroporto, prendiamo un taxi, percorriamo tutto il
lungomare e passiamo davanti alla lunga fila di ristoranti, caffè,
negozi e librerie che, con la loro vivacità, tutto sommato,
migliorano la prima impressione. Il piccolo aeroporto è praticamente
situato alla fine del lungomare, all’estremità sud della città, a
soli 4 km dal porto; mentre Aldo disbriga la pratica con l’agenzia
di noleggio auto, io faccio incetta di cartine e materiale vario al
piccolo Ufficio Turistico. Padroni dell’automobile, ci dirigiamo
verso la località di Karfas. Attraversiamo un sobborgo
dall’impianto urbanistico piuttosto confuso, fitto di strade,
composto da un variegato mix di abitazioni, attività artigianali,
grandi supermercati, esposizioni di mobili e auto; dopo un paio di km
incontriamo una centrale termoelettrica che, con le due ciminiere a
strisce bianche e rosse, nasconde del tutto la baia di Kontari,
scavalchiamo un piccolo promontorio e, dopo un altro km, scendiamo
nella baia di Karfas. Ci fermiamo a fare un po’ di spesa in
un piccolo ma fornitissimo market e poi, seguendo le indicazioni per
Thymiana, ci arrampichiamo sulla collina dove abbiamo
individuato l’insegna Dolphins, lo studios dove siamo diretti. Ci
accoglie Kostantinos, il giovane sportivo e stravagante che
gestisce gli studios Chios Panorama, ex Chios Dolphins (di cui
resta l’insegna). La camera che ci viene assegnata ha un ampio
balcone: il panorama è aperto e molto bello, si domina la baia di
Karfas e il suo mare azzurrino, lo sguardo spazia sullo stretto di
mare fra Chios e la Turchia, sull’orizzonte la bianche case di
Cesme. Le ciminiere della centrale termoelettrica di Kontari fanno
capolino da dietro le colline del promontorio, ma spariscono nella
bellezza e ampiezza del paesaggio che si gode da quassù. Sistemati
bagagli scendiamo a piedi sino al mare desiderosi di un bagno.
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KARFAS,
che si trova a 7 km a sud della citta di Chios, è una delle più
famose e frequentate spiagge dell’isola, non solo da parte dei
turisti ma anche dei residenti, del resto gli ingredienti per il
successo ci sono tutti: sabbia fine, acque poco profonde e tiepide,
adatta agli sport nautici, ottima sul piano dell'organizzazione
turistica in termini di locali di intrattenimento, hotel,
appartamenti, studios, ristoranti, bar e taverne, buoni i
collegamenti con mezzi pubblici, vicinanza al capoluogo, aeroporto e
porto. La spiaggia è dunque affollata da ogni genere di bagnanti e,
da questo punto di vista, non è certo un angolo di paradiso ma la
temperatura del mare è tanto piacevole e l’acqua talmente bassa
che, alla fine, ce ne stiamo seduti in mare in santa pace. Al
tramonto facciamo la doccia in spiaggia, ci asciughiamo e iniziamo la
rassegna delle taverne e dei loro menù. La scelta è veramente ampia
e variegata, ma alla fine non abbiamo dubbi: la taverna con una bella
terrazza di legno sulla spiaggia, il mare vicino e le luci di Cesme
sull’orizzonte.
Da Thymianà a Mavra Volia
Dopo
un meraviglioso sonno rinfrescato dalla notte che entrava libera
dalle finestre spalancate ad accarezzare le lenzuola, appena sveglia,
preparo la colazione sul nostro balcone illuminato dal sole sorto
dall’Anatolia e tiro fuori dallo zaino i miei libri e appunti di
viaggio, religiosamente custoditi e suddivisi in buste trasparenti
(…l’unica cosa in cui sono ordinata), frutto di sogni nati in
giornate fredde ed uggiose, parole e immagini che finalmente
diventeranno realtà. Aldo mi guarda con lo scetticismo divertito con
cui si guarda un illusionista di cui si conoscono bene i trucchi: sa
bene che, nonostante il mio studio di cartine e note, calcoli di
distanze e ipotesi di itinerari, nei prossimi giorni, in realtà, a
guidarci saranno i luoghi stessi, la curiosità, il cuore, la nostra
ispirazione… ma secondo il mio primo itinerario, ci mettiamo in
viaggio, direzione sud.
Attraversiamo
il paese di THYMIANÀ che dista solo un paio di km dal nostro
studios e che ci conquista subito con la sua graziosa piazzetta: due
caratteristici caffè, due vecchie e fornitissime botteghe, un
panificio e la taverna Roussiko, con due bellissime terrazze,
che diventerà la nostra tappa fissa per la sera. La fama e la
ricchezza di questa cittadina deriva dalle sue numerose cave di
pietra sanguigna con cui sono costruite le belle dimore patrizie di
Kampos, i muri di recinzione e molte chiese dell’isola. Un
magnifico esempio tale utilizzo è proprio la stessa Chiesa di
Thymiana, dedicata ad Agios Efstratios, uno dei più grandi
templi dell’isola.
Seguiamo
le indicazioni stradali per Pyrgi, la strada è buona, ampia e
veloce, corre lontana dal mare, attraversa un paesaggio collinare
punteggiato di villaggi e sorvegliato dalle pendici spoglie di alture
grigie. Un cartello annuncia la regione dei MASTICHACHORI e
compaiono i primi alberelli di lentisco. Questa parte dell’isola di
Chios è davvero una zona unica al mondo e le ragioni di questa
unicità stanno felicemente sposate nella parola Mastichahori:
le coltivazioni di alberi di lentisco che, solo qui, producono il
Masticha e i villaggi medioevali di origine Genovese,
le Chore, che, solo qui, conservano intatto il loro
impianto urbanistico originario. I villaggi, in questo arido angolo
di mondo, sorsero, si svilupparono e fecero fortuna proprio in
funzione della miracolosa produzione del masticha e, degli
originari 28, ne rimangono ancora 24: i principali sono Armòlia,
Pyrgi, Olympi, Mestà e Vèssa, tutti costruiti tra il XIV
ed il XV secolo. Nonostante le distruzioni dei Turchi e il rovinoso
terremoto del 1881, in quasi tutti i Mastichahori è ancora
ben visibile lo schema originario con le case una stretta all’altra
in modo da costruire una fortezza con torrioni difensivi e una torre
centrale più alta, solo gli elementi decorativi e i colori delle
pietre variano. Le stradine sono strette, fresche e ombrose, simili
ai caruggi di Genova, pavimentate di dura roccia, sormontate
da volte chiamate voti, tutte conducono alla torre centrale e
alla sua piazza: un piacere passeggiarvi nelle ore più calde. Di
questi villaggi, la cittadina di ARMÒLIA è la prima che ci
viene incontro, come una sorta di alto avamposto dei Mastichahori,
e, non a caso, proprio alle porte del paese, una brevissima
deviazione sulla destra, conduce ad una delle più importanti
fortezze dell'isola, il Kastro Apolichnon, costruita
come una sentinella a difesa della regione da Geronimo Giustiniani
nel 1446. Ma l’economia di Armòlia non è legata solo al mastica
ma anche alla produzione artigianale di ceramiche e, arrivando, non
si può proprio fare a meno di notare le esposizioni dei numerosi
laboratori che si incontrano lungo la strada. Se volete portare a
casa qualcosa da Chios, solo qui trovate un enorme assortimento di
oggetti meravigliosamente decorati a mano con motivi di fiori,
uccelli e pesci, i prezzi sono convenienti, impossibile non trovare
qualcosa che piaccia. Prima del nostro rientro in Italia siamo
tornati in uno di questi laboratori di Armòlia per acquistare
souvenir, e più ancora che dalla varietà e bellezza dei manufatti
siamo stati colpiti dalla gentilezza degli artigiani che hanno
insistito per farci assaggiare un ottimo rinfresco casalingo a base
di mandarino di Chios e, dopo aver scelto, ci hanno fatto anche un
ulteriore sconto. A metà paese, superati un paio di pasticcerie
tentatrici, svoltiamo a sinistra per Kalamoti e Kòmi.
Questa strada scende dritta verso il mare attraversando una fertile
pianura coltivata e rinfrescata da due piccoli fiumi, popolata da una
infinità di chiesette e cappelle. Il piccolo centro balneare di
KÒMI è costituito da una sola e breve via che, come i due
piccoli fiumi che scendono dalla pianura, si arresta bruscamente
contro la sabbia della spiaggia. Qualche negozio di articoli da
spiaggia e cartoline, un minimarket e una rosticceria, case di
villeggiatura e qualche studios: tutto qui. La spiaggia è una delle
più belle e godibili dell’isola, lunga e ampia, di sabbia chiara e
fine, riparata dal vento, con acqua calda e cristallina, ideale per
il nuoto, i bambini e la classica vita balneare. Nella zona centrale
della spiaggia, proprio dove finisce la strada asfaltata, ci sono
taverne e beach bar che mettono a disposizione gratuitamente lettini,
ombrelloni e persino wifi; le zone laterali sono invece completamente
libere e praticamente deserte. Data la sua godibilità e facilità di
accesso, Kòmi è una spiaggia piuttosto frequentata, ma ben lungi
dalla confusione delle nostre spiagge. Se siete in zona e avete un
languorino, non perdetevi i ricchi gyros pitta della rosticceria: il
gestore è un simpatico uomo, ex pilota di rally, qui approdato per
amore dalla natia Corfù, felice di poter nostalgicamente parlare con
chiunque conosca il suo paese, Sidari, e la sua celebre
spiaggia Canal d’Amour... Riprendiamo il viaggio alla
volta di EMPORIÒS e la strada si allontana dal mare per
intrufolarsi fra piccoli rilievi coltivati a mastica. Un
cartello segnala l’importante zona archeologica dove, sul lato sud
est della collina del Profitis Ilias, sono stati
portati alla luce i resti di una città del IX - VIII secolo a.C. con
due gruppi di case e una acropoli sulla cui cima è stato
identificato un Tempio di Atena di cui sono ben
visibili due stanze, il pronao e la navata con il basamento su cui
poggiava la statua della dea. Il sito può essere visitato seguendo
il sentiero che conduce al tempio, da cui si domina il golfo di
Emporiòs, e i numerosi oggetti rinvenuti nel corso degli scavi sono
visibili nel Museo Archeologico di Chios. Non lontano da qui è stato
scavato anche un sito preistorico con reperti datati fra il 6.000 e
il 3.000 a.C.. Sulla base di tali importanti testimonianze si è
supposto che questo fosse il sito della antica città di Levkonion,
la superba rivale di Troia menzionata da Tucidide; tale città era un
fiorente centro commerciale e la sua allocazione in questa zona può
essere anche suggerita dal fatto che l’antica cittadella sovrasta
proprio il porticciolo di Emporiòs che, nel nome, non
può che richiamare un “emporio”. Il porticciolo di Emporiòs è
un vero gioiellino, molto carino, piccolo, praticamente circolare,
sembra quasi un lago vulcanico e, guarda caso, fra i vari ristoranti
decorati con reti da pesca, collane d’aglio, peperoncini e pomodori
secchi che si affacciano su questo specchio di mare, c’è proprio
una attraente “Vulcano Taverna”!
Mavra
Volìa
|
Tenendo il lato destro del porto di Emporiòs e seguendo le indicazioni, la strada continua fino alla vicinissima MAVRA VOLIA, forse la spiaggia più famosa e fotografata di Chios. Si capisce quando la strada sta per finire dalle auto parcheggiate sui lati: appena trovate uno spazio, parcheggiate, perché non esiste un parcheggio vero e proprio. La strada finisce a ridosso di un bel pianoro di pietra costruito di recente lungo la spiaggia, ombreggiato da una fila di grandi tamerici, in fondo a destra c’è un bar - taverna. A disposizione dei bagnanti c’è anche una fontanella pubblica, una doccia e una cabina per cambiarsi, ma niente ombrelloni e lettini. La prima baia che si apre davanti a noi è bellissima, mare blu e sassi neri, proprio come vuole il suo nome, Mavra (neri) - Volia (ciottoli), neri come la pece, tondi, lucidi e levigatissimi, perfetti. Proprio da questa spiaggia provengono quelli che sono serviti per lastricare il pavimento della Cattedrale di Chios. Il mare è di un blu denso e cupo, subito molto profondo, percorso da una lunga onda trasversale. Camminiamo verso sinistra fino alla fine della spiaggia, dove i sassi sono molto grandi ma il mare concede un bagno più riparato.
….la
prima spiaggia …
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… la
seconda …
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….e
la terza …
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Dopo
esserci rinfrescati, ci dirigiamo verso la taverna e, percorso il
breve sentiero a gradini che supera il promontorio di destra,
arriviamo alle seconda baia. Magnifica!! Qui il paesaggio è
assolutamente primordiale, selvaggio, assolutamente vulcanico, qui
Mavra Volia è davvero la più spettacolare delle
spiagge di Chios. Il lido è di grossa ghiaia nera e alle spalle si
alza una altissima falesia vulcanica, anzi sembra proprio di stare
dentro il cratere del vulcano Psaronas che, per quanto inattivo da
millenni, visto da qui, incute ancora timore. Facciamo un altro bagno
e constatiamo che, anche da questo lato, l’acqua è subito
profonda. Il sole ci asciuga in fretta e ce ne andiamo, ma, prima di
lasciare la spiaggia vi lascio qualche consiglio se volete visitarla
e goderla appieno: scarpette di gomma per il bagno, vi assicuro che
questi sassi sono impegnativi, un buon cappello per il sole,
praticamente impossibile infilare stabilmente un ombrellone fra i
sassi, andateci la mattina, l’ombra totale arriva abbastanza
presto per via della alta falesia alle spalle della spiaggia.
… una
distesa di confetti di lava…
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Pyrgi, la città dipinta
Da
Mavra Volia percorriamo circa 5 km e raggiungiamo PYRGI, il
cosiddetto “villaggio dipinto”, dichiarato monumento nazionale.
Questo grande villaggio (non ce lo aspettavamo proprio così grande)
sorge su una sorta di altopiano brullo da cui non si vede il mare e,
arrivando, sembra solo un grigio ed assolato paesone, nulla si
percepisce della sua unicità e bellezza. Parcheggiata la macchina e
imboccata la prima via che porta all’interno del paese comprendiamo
subito come le grigie case del nucleo storico, una stretta all’altra,
hanno porte e finestre affacciate verso l’interno e per questo,
chiunque guardava il paese dall’esterno, aveva la percezione di un
compatto agglomerato, rotto qua e là solo da qualche piccola
finestra, come se si trattasse di una unica, vera e propria fortezza.
In passato le pareti esterne delle case presentavano anche parapetti
aggiuntivi in modo da potersi muovere sui tetti senza essere visti,
come su un camminamento di guardia, ai quattro angoli del villaggio
le case assumevano la forma di piccole torri e gli abitanti potevano
entrare e uscire dal paese solo attraverso porte fortificate. Il
carattere funzionale delle abitazioni era dunque quello difensivo: lo
schema di costruzione, la struttura delle case e le mura grigie pare
siano da riferire a un preciso disegno imposto dai Genovesi. Ma più
ci si addentra in questo paese fortezza, più il fascino di Pyrgi
esplode. Per chi non ci abita, le strette stradine lastricate
compongono un fitto labirinto, in realtà sono disposte a cerchi
concentrici e sono tutte connesse alla piazza centrale dove c’era
la torre principale fortificata, dove gli abitanti si potevano
rifugiare velocemente in caso di pericolo. A frequenti intervalli
appaiono archi traversi e volte di supporto che creano una
particolare atmosfera. Ma ciò che rende questo villaggio unico al
mondo e che più colpisce i visitatori, sono le "xysta", il
tipo di decorazione genovese a tecnica di graffito che riempie ogni
facciata ed edificio del paese. Incredibile.
Le
facciate delle case sono tutte, ma proprio tutte, decorate con
elaborati disegni grigi e bianchi, alcuni geometrici, altri ispirati
a foglie, fiori e animali stilizzati. Di notevole effetto visivo,
creati con una tecnica detta "xistà", graffiato, che
consiste nello stendere sui muri un intonaco scuro di sabbia
vulcanica che viene quindi ricoperto di calce bianca che poi viene ad
arte raschiata scoprendo il grigio sottostante secondo il disegno
prefissato. Molte delle vecchie case hanno ancora il caratteristico
tetto a punta “travaka”, a forma di piramide. Questa tecnica si
incontra anche altrove nel mediterraneo (sembra nelle zone del
Maghreb, soprattutto in Marocco). Molto spettacolare è l'abitudine
degli abitanti di appendere collane di piccoli pomodori sui balconi
per la loro essiccazione. Ciò che caratterizza la varietà di
pomodori coltivati in questa zona è proprio la procedura di
essiccazione, che permette di mantenere la polpa morbida e la buccia
secca e dura.Sulla piazza principale troneggia la nuova Cattedrale che presenta una decorazione di xysta immensa e impressionante, sul lato opposto, ben nascosta, c’è la piccola chiesa dei Aghios Apostoloi, praticamente una miniatura del katholicon del monastero di Nea Moni, un monumento bizantino ben conservato e decorato sulle pareti esterne dal gioco dei piccoli mattoni che formano archi e bande denticolate. L’interno è ricoperto da pitture murali, risalenti al 1665, opera di Antonios Domestichos e Kenygos da Creta. Un’iscrizione all’entrata principale della chiesa fa risalire la sua‘edificazione’ all’iniziativa del monaco Simeone nel 1564, ma si riferisce sicuramente ad un’opera di restauro, poiché le caratteristiche architettoniche di questa graziosa chiesa dichiarano la sua collocazione nella seconda metà del XII secolo. Poco oltre la piazza, in una delle vie principali, sorge una casa con una targa a ricordo della residenza in questo luogo del grande navigatore genovese Cristoforo Colombo. Per noi italiani è un po’ difficile dare credito alla tradizione secondo cui Cristoforo Colombo fosse greco, di Chios in particolare, e discendente di una nobile famiglia bizantina… però la sua firma imitava caratteri greci, lui stesso si definiva Colombo della Terra Rossa, il giornale di bordo ufficiale era in latino ma quello personale in greco, le origini delle sua famiglia genovese non furono mai identificate… Forse qualcosa di vero c’è, in fondo Colombo nasce quando gli Ottomani arrivano a Bisanzio e iniziano la conquista provocando la fuga di molti, Chios allora apparteneva alla Repubblica di Genova, la Terra Rossa è indubitabilmente una caratteristica della parte meridionale di Chios e non delle alture genovesi, insomma nulla vieta che Cristoforo Colombo possa assommare in sé origini italiane e greche, che da questa meravigliosa mescolanza sia nato l’intrepido scopritore del Nuovo Mondo … e davanti a quella targa mi convinco che sia così: Colombo non divide Grecia e Italia ma le unisce! Mentre io e Aldo commentiamo fra di noi la cosa, ci si avvicina un simpatico anziano, lui non ha dubbi, Cristoforo Colombo è nato a Pyrgi, chiamata anticamente "Kolombos" e, a riprova, molte famiglie di Pyrgi hanno tuttora il cognome “Kolombos”.
Ma ci tiene a raccontare che lui stesso è un navigatore, che ha passato gran parte della sua vita in mare e che conosce molti porti italiani… e così Stavros, all’ombra dei silenziosi muri decorati di xysta, ci conduce per il Mediterraneo intero, fra coste e isole, porti e ormeggi, bonacce e tempeste della sua avventurosa vita di marinaio… Il rumore di una motoretta che rimbomba sotto la volta della porta di accesso della città rompe questo incantesimo e ci riporta alla realtà…
Da
Pyrgi a Chios ci sono circa 25 km, ma decidiamo di allungare
un poco la strada per curiosare un po’ la costa a sud di Karfas.
Sulla via del ritorno, prendiamo quindi a destra per Kallimasià,
il paese della Mastichachoria più settentrionale, completamente
distrutto dal terremoto del 1881, oggi sede di un piccolo museo del
folklore. Da qui la strada scende al mare presentando due
alternative: a destra per la tranquilla Aghios Emilianòs
e a sinistra per la popolare AGHIA FOTINIS. Optiamo
per Aghia Fotinis e subito ce ne pentiamo data la difficoltà di
trovare un parcheggio. La spiaggia è attrezzata con ombrelloni e
lettini, ristoranti, bar e taverne di pesce, molto affollata, come
tutte le spiagge non lontane da Chios, e con una zona retrostante
ricca di hotel, appartamenti e monolocali. Il lido è però grazioso,
piccoli sassi chiari, acque immobili profonde e cristalline, una
bianca falesia sul fondo: facciamo un bagno e ce ne andiamo
velocemente. Risaliamo verso Neohori e Thymianà e deviamo
nuovamente verso il mare seguendo le indicazioni per la chiara
spiaggia di MEGAS LIMNIONAS, piuttosto simile ad Agia Fotinis
ma con acque poco profonde e belle taverne sul mare; da qui
continuiamo costeggiando il mare fino a Karfas passando per il
piccolo porto naturale di Agia Ermioni. Tutto sommato, ci
diciamo che questo tratto di costa si poteva tranquillamente
tralasciare, ma giusto rendersi conto di cosa avevamo vicino.
Olympi
è un vero gioiello, così piccolo, intimo, semplice e grazioso, da
secoli è rifugio e custode della vita di una comunità, nido di
sogni e speranze, scrigno di gioie e dolori, da secoli protegge la
dimensione umana e annulla il tempo che fuori scorre: quando usciamo
dal villaggio, è come passare attraverso la macchina del tempo e
tornare bruscamente in un’altra epoca e dimensione.
Le Lacrime di San Isidoro
Il
pomeriggio è ancora lungo, quindi, raggiunta Pyrgi, prendiamo la
deviazione a destra per Emporiòs ma tiriamo dritto fino alla estrema
punta sud dell’isola in direzione di Vroulidia. Questa bella
strada asfaltata corre fra innumerevoli boschetti di alberelli di
MASTICHA e ci fermiamo a fotografarli. Il Lentisco (Pistacia
lentiscus Chia) non è molto alto, le foglie, che rimangono verdi
tutto l'anno, sono coriacee e lisce, i frutti, delle dimensioni di un
pisello, sono rossi o neri. La resina che fuoriesce copiosa si
ottiene praticando delle incisioni sul tronco e si rapprende all'aria
sotto forma di masserelle tondeggianti, come lacrime, trasparenti e
opalescenti, con un profumo intenso e caratteristico. Assaggiamo la
resina che cola… il suo gusto è intenso, penetrante, persistente,
fresco e leggermente dolciastro, masticando diventa una pasta
malleabile che aderisce ai denti: proprio un chewing gum 100%
naturale! Sotto gli alberi viene predisposto un letto di gesso
cosicché la resina cade senza attaccarsi al suolo e sporcarsi, poi,
viene raccolta, lavata delicatamente, fatta essiccare e conservata
in scatolette. Il mastika non è utilizzato solo nell’alimentazione
per produrre gomma da masticare e aromatizzare bevande, dolci e
liquori, ma anche nella cosmetica e nella farmacologia, nonché dal
clero per profumare l’incenso e l’olio santo cresimale. Insomma
un alberello prezioso e miracoloso, sicuramente affascinante, come la
storia con cui gli abitanti di Chios spiegano il fatto che soltanto
qui, a Chios, il lentisco produca il prezioso mastika e il perché
tutti i vari tentativi di produrlo altrove siano andati falliti….
I
magici alberelli di Masticha
|
Le
lacrime di San Isidoro
|
Era
il 14 maggio dell’anno 249 dopo Cristo quando, sotto le
persecuzioni cristiane dell’imperatore Decio, fu martirizzato SAN
ISIDORO, un giovane soldato romano convertito al cristianesimo.
Isidoro accettò il martirio pur di non abiurare la sua fede, fu
legato per una mano e per un piede ad un cavallo e trascinato dalla
Chora di Chios fino al luogo dell'esecuzione nel sud del paese,
attraverso le foreste di lentisco. Il Santo, straziato dalla
sofferenza, piangeva e le sue lacrime cadevano a terra cosicché gli
alberi di lentisco, come per miracolo, piansero anche loro alla
visione del suo martirio… e così li vediamo ancora noi, testimoni
piangenti e silenziosi della sofferenza del giovane Isidoro. Molti
popoli giunsero a Chios per accaparrarsi le pregiate lacrime di
resina, Romani, Bizantini, Veneziani, Genovesi e, dalla metà del
'500 fino al 1912 gli Ottomani, fra tutti questi furono però i
Veneziani a trafugare da Chios le spoglie mortali di Sant’Isidoro,
che oggi riposa nella cappella a lui dedicata nella Basilica di San
Marco a Venezia, lontano dalla sua isola e dai suoi alberi piangenti.
La
strada che scende fino alla punta più meridionale dell’isola è
tutta asfaltata e termina con un ampio piazzale antistante la taverna
che domina in posizione panoramicissima la baia sottostante.
VROLIDIA è assolutamente scenografica, dall’alto è un vero
spettacolo: una striscia rosa di grossa sabbia stesa lungo un mare
iridescente dai colori che sfumano dal blu al verde cupo, incastonata
come una gemma fra alte e bianche falesie spolverate del verde cupo
dei mirti…
VROLIDIA
|
Per
scendere alla spiaggia bisogna percorrere una scalinata di pietra non
proprio breve, ma vale la pena. La spiaggia non è attrezzata,
frequentata soprattutto da giovani compagnie e coppie, nel pomeriggio
è per buona parte in ombra, il lido è di minuscoli sassolini
bianchi, ma in mare il fondale è di velluto sabbioso. Inutile dire
che l’acqua è magnifica, ma non è scontato dire che l’acqua qui
è calda e piacevolissima per i lunghi bagni. Risaliamo dalla
spiaggia quando arriva del tutto l’ombra e si torna verso Karfas.
Il fiordo incantato di Elinta
Oggi
cambiamo strada e puntiamo verso VESSA che dista 19
km dalla città di Chios. Il paese è nascosto in una boscosa
valle e, arrivando, appare dall’alto raccolto contro una ripida
montagna, bellissimo, nulla sembra turbare il suo tiepido sonno
secolare fra le cicale. Vessa,
come Olympi, è un piccolo villaggio medievale, caratteristico della
parte meridionale dell’isola, le cui torri e mura di cinta sono
giunti fino a noi in buono stato, come il tipico dedalo di strade
strette che si insinuano tra le case tradizionali su cui domina la
chiesa di Agios Demetrios. Vessa è uno dei paesi che più mi sono
piaciuti.
VESSA
|
Giriamo
verso LITHÌ e la sua baia dove diamo un’occhiata alla
famosa spiaggia che non ci entusiasma per nulla: molto stretta, un
nastro sabbioso incastrato fra il mare e la strada piena di taverna e
ristoranti, piena zeppa di ombrelloni e lettini, molto affollata. Il
fondo sabbioso, la tranquillità delle acque riparate e poco
profonde, la presenza di attrezzature la rendono frequentata
soprattutto da famiglie con bimbi.
LITHI
|
Da
Lithì la strada inizia a salire e poi corre alta lungo la costa
offrendo ampi e bellissimi scorci sul versante occidentale dell’isola
che, in questo punto, per il mix di pini, rocce argentee e mare blu,
ci ricorderebbe un po’ Karpathos se non fosse per le numerose TORRI
GENOVESI che presidiano i promontori. Qui è ben intellegibile
l’efficiente sistema di avvistamento e di comunicazione sviluppato
dai Genovesi attraverso le torri piantate lungo il profilo
dell’isola, sui promontori e sulla punta delle numerose insenature,
l’una in vista dell’altra, collegate con differenti sistemi di
segnalazione a specchi, bandiere, fuochi e segnali di fumo che
venivano utilizzati per lanciare l’allarme su tutta l’isola.
Molte delle originarie sessanta torri sono ancora in piedi, con il
loro portoncino d’ingresso sopraelevato, e sembrano sorvegliare in
silenzio le spiagge più riparate e le baie seminascoste.
Torre
Genovese
|
La
baia di ELINDA, quando appare dall’alto, è una visione
scioccante e non vedi l’ora di raggiungerla. Per scendere alla
spiaggia bisogna prendere al volo la seminascosta deviazione a
sinistra: una stretta stradina in cemento con un ultimo tratto
sterrato, brevissimo, in buono stato e percorribilissimo. Elinda è
una profonda insenatura, un riparato approdo perfettamente disegnato
a “U” dalla natura, sorvegliato da una torre genovese ritta come
una sentinella, contornato da alte montagne coperte di pini e rocce
color dell’argento; una baia chiusa da una distesa di grossa sabbia
bianchissima qui deposta nei secoli dai fiumi che scendono dai monti
più alti dell’isola, non mancano neppure sorgenti d'acqua vicino
alla chiesetta nascosta dalla vegetazione dietro la spiaggia. Il mare
è dipinto con i colori delle piume del pavone: blu, con riflessi
elettrici e metallici, verde, talvolta con bagliori aurei; l’acqua
è immobile e profondissima, gelida: si dice che nel suo gorgo vi sia
una nave romana naufragata. Sistemiamo l’auto sotto un grande
albero di tamerice e conquistiamo uno dei cinque grandi ombrelloni di
paglia piantati dal Comune, entusiasti di questo paradiso: finalmente
abbiamo trovato una spiaggia tranquilla e solitaria dove resteremo
tutta la mattina in pochissimi. Nonostante l’acqua molto fredda, la
nuotata è memorabile per la trasparenza e l’immobilità
dell’acqua: mi ricorda vagamente la spiaggia di Nanou a Simi, ma
questa è molto più grande, o la spiaggia di Pefko a Skyros, ma
questa è molto più luminosa, per me è perfetta, e, a mio gusto, la
più bella dell’isola.
ELINTA
|
Avgonyma e Anavatos: due paesi, due storie
Giunta
l’ora di pranzo, lasciamo la spiaggia di Elinda e in 10 minuti
saliamo al borgo medievale di AVGONYMA che domina un
paesaggio di incomparabile bellezza. La zona centrosettentrionale
dell’isola di Chios è molto diversa da quella meridionale,
sia nell’aspetto geofisico, decisamente più montuoso, che
organizzativo delle comunità residenziali: i paesi sono molto
diversi dai Masticahori, sono piccoli e isolati, con le case di
pietra grezza e abbracciati alle rupi su cui sono costruiti.
All’ingresso del paese troviamo subito la bella taverna, To
Asteri, che affitta anche stanze e studios con l’insegna
Avgonyma Sunset. L’edificio ha un aspetto severo e
solido, interamente costruito in pietra naturale di Chios, nella sala
interna ci sono grandi spiedi e grandi tavoli, ma in estate i
tavolini della taverna sono sistemati all’aperto, sotto il
pergolato della ampia terrazza giardino da cui si gode un magnifico
panorama che spazia sul mar Egeo, fino all’isola di Psarà,
sulle sottostanti torri di guardia genovesi e la baia di Elinda.
...il
balcone della Taverna “To Asteri”
|
Anche
qui il menù ci sorprende e proviamo le specialità della casa che ci
vengono consigliate: polpette di pomodoro e di horta, kokkoras
krasato, un galletto cotto nel vino con cui viene condita una
pasta fatta in casa, pistacchi sciroppati e gelato al mastika... la
squisitezza del cibo, la bellezza del panorama e la brezza fresca
generano una rara sensazione di benessere totale, calma e serenità,
un vero peccato non potersi fermare fino al tramonto, qui il sole
scende dritto in mare, sarebbe stata un’emozione unica. Avgonyma è
un vecchio e pittoresco villaggio dell'undicesimo secolo, costruito
come una sorta di paese balcone su una rocca da cui si domina uno dei
più bei panorami che offre la natura di Chios, alle sue spalle si
stende un altopiano con fitte pinete. Il villaggio è minuscolo, si
gira tutto in 15 minuti, gli abitanti sono pochi e si radunano sulla
piazzetta centrale dove c’è un’altra caratteristica taverna, le
case hanno spessi muri di nuda pietra, con caratteristiche piccole
finestre. Recentemente il paese è stato oggetto di riqualificazione
e ha ritrovato il suo fascino, molte case sono state restaurate e
destinate alla ricezione turistica: qui si ha dunque la possibilità
di vivere in una casa antica con tutte le comodità moderne e
trascorrere qualche giorno a contatto con una natura magnifica
lontano dalla folla.
AVGONYMA
|
Da
Avgonyma, seguendo una bella strada asfaltata che si addentra nei
monti per 5 km tra oliveti e pini, ci dirigiamo verso ANAVATOS:
siamo a circa 20 Km dalla città di Chios e al tempo stesso siamo
lontanissimi, qui il tempo si è arrestato bruscamente nel 1822...
Chios, data la sua posizione, ha storicamente e necessariamente
avuto, come tuttora ha, un intenso, anche se non sempre felice,
rapporto con la Turchia. Gli Ottomani conquistarono l'isola nel 1566,
mettendo fine alla dominazione Genovese, e vi restarono fino al 1912,
per ben 356 lunghi anni. Durante la loro dominazione Chios conobbe un
periodo di grande sviluppo e l'isola arrivò a contare fino a 100.000
abitanti, gli Ottomani furono molto accorti e lungimiranti nel
preservare intatti i meccanismi di sfruttamento commerciale del
mastica, già ampiamente collaudati dai Genovesi, e nell’imporre un
regime fiscale di estremo favore per i residenti, ma, proprio per la
sua importanza economica e strategica, l’isola venne privata di
qualsiasi autonomia e sottoposta al controllo diretto di Istanbul.
Allo scoppio della rivoluzione Greca nel 1821, l'isola di Chios
rimase neutrale, ma nel 1822 i rivoluzionari provenienti dalla vicina
Lesvos, guidati da Lykourgos Logothetis, stimolarono la rivolta della
popolazione contro i Turchi. La rivolta presto fallì e i
partigiani, costretti al ritiro, lasciarono la popolazione in balìa
dei Turchi. La reazione ottomana fu tremenda, l'ammiraglio Kapudan
Pashà Karà Ali approntò una grande flotta e sbarcò sull’isola
un gran numero di milizie affiancate da orde di irregolari che si
riversarono come belve sugli abitanti: oltre 25.000 persone vennero
uccise, molti catturate e vendute come schiavi. La ferocia raggiunse
il culmine nel villaggio di Anavatos dove, dopo un lungo assedio, i
Turchi riuscirono ad entrare: molte donne con i loro bambini, pur di
non cadere nelle loro mani, si gettarono nel burrone sotto la rocca,
tutti vennero massacrati, nessuno sopravvisse alla strage…
ANAVATOS
|
Per
questo, quando ANAVATOS appare, il cuore si spezza e la
commozione è inevitabile. L’impatto è incredibile:
completamente deserto, arrampicato sopra un'impervia rocca che lascia
senza fiato, case orgogliose e fiere, finestre nere e cupe, silenzio,
rotto dal triste lamento delle fronde degli alberi, dalle grida mute
di chi non c’è più, vuoto, pieno di dolore, ferocia,
eroismo e martirio, morto, animato da immagini del passato e
dall’ampio roteare degli uccelli intorno alla rocca, un villaggio
fantasma in un ambiente selvaggio. Anavatos giace abbandonato dal
giorno del terribile massacro del 1822 e oggi è un monumento
nazionale: ma come è difficile staccare il pensiero dalla tragedia
di questo luogo e pensare ai giorni in cui vi scorreva la vita, alla
perizia e alla fatica con cui gli indomiti abitanti costruirono
questo borgo fortificato per difendere il territorio dalle possibili
incursioni di navi che potevano gettare l’ancora nella baia di
Elinda. Il villaggio non risale, come molti nell’isola, all’epoca
medievale ma venne costruito in epoca più tarda a scopi difensivi,
già il suo nome, Anavatos, difficile passaggio, rivela la
ragione della sua esistenza in quel punto. Sul luogo pare solo di
essere davanti ad una inaccessibile rocca sperduta fra i monti, ma se
guardate una mappa o meglio una panoramica dal satellite, vi
renderete ben conto della sua strategica posizione: Anavatos sorge su
una rupe conica a 450 metri di altezza, con un solo accesso da nord
est verso le pendici del Monte Epos, affacciata a strapiombo sulla
confluenza del piccolo fiume Portes con il fiume Elindas, invisibile
e ben celata a chi proviene dal mare, questa rocca sorveglia la valle
e la baia di Elinda, scruta il mare verso sud ed ovest. In sostanza
Anavatos guardava le spalle alla città di Chios: le mappe aiutano
sempre a capire i luoghi e la loro storia.
La
strada, come un tempo, finisce ai piedi del villaggio fortificato, si
parcheggia vicino alla taverna circondata dalle poche case ancora
abitate, appena prima ci sono la piccola chiesa di Agios Georgios e
il monumento che ricorda la battaglia e gli eroi del 1822. Non c’è
nessuno e siamo gli unici visitatori. Da vicino è evidente come gli
abitanti approfittarono della fortificazione naturale di cui gode la
località, aggiungendo dal lato accessibile un muro esterno per
cingere le abitazioni. Il villaggio è cresciuto nel tempo dal basso
verso l'alto della roccaforte e fino alla sommità della rupe,
raggiungendo il massimo splendore durante l’occupazione turca. La
cittadina è sottoposta a restauri conservativi che, considerato il
sito, appaiono molto impegnativi, molti edifici sono pericolanti e
pertanto non è tutta percorribile: quello che non fecero i Turchi
nel 1822 lo fece il tremendo terremoto nel 1881, sembra già un
miracolo che non sia crollato tutto a valle. Le numerose abitazioni
all’interno delle mura, molto vicine le une alle altre, sono
costruite in pietra grigia, porte basse e piccole finestre ad arco,
alcune avevano balconi, probabilmente di legno, molte hanno due
piani, caratteristico il dettaglio della finestra nella soffitta come
una sorta di posto di osservazione. Sopra la roccaforte c'erano le
chiese dei Taxiarchi, a due navate, e della Vergine Maria,
l’imponente l’edifico a tre piani, incredibilmente quasi intatto,
ospitava l’antico frantoio. Salire per le silenziose vie di
Anavatos tocca il profondo dell’anima, i pensieri corrono lontani e
il cuore si fa pesante. Non prestate ascolto alle scempiaggini che si
leggono in alcune guide turistiche che, con deplorevole gusto del
macabro e becero senso di business turistico, raccontano che “sono
ancora oggi visibili le tracce del sangue che penetrò abbondante nei
marmi del pavimento della cattedrale e ne alterò il colore”,
Anavatos non è un film horror e non servono schizzi di sangue per
rappresentare la sua storia e la sua tragedia, tutto parla di questo,
il sangue di Anavatos è in ogni sua pietra, il grido di Anavatos è
in ogni sua muta finestra spalancata nel vuoto…
ANAVATOS
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Il Nea Moni, il gioiello di Chios
Ritorniamo
sulla strada che attraversa trasversalmente l’isola, contornata da
splendidi boschi e pinete, quindi svoltiamo a destra quando
incontriamo il cartello per il NEA MONI, uno dei più
importanti monumenti bizantini di Grecia e del mondo. Il Monastero di
Nea Moni venne fondato a metà del XI secolo, con una donazione
dell'imperatore bizantino Costantino IX Monomahos e di sua moglie
Zoe, per ospitare una miracolosa icona della Vergine a lui molto
cara. La tradizione racconta che tre monaci, Nikitas, Iossiph e
Ioannis, che vivevano come eremiti in una grotta sul Monte Provatàs
(quella stessa grotta che poi vedremo nel Monastero dei Agion
Pateron), vedevano tutte le notti brillare una luce nella foresta
sottostante ma, di giorno, non riuscivano ad individuare l’origine
di quella luce. Credendo si trattasse di spiriti maligni incendiarono
la foresta nel punto in cui appariva la luce ma le fiamme si
arrestarono miracolosamente davanti ad un mirto e fra i rami del
cespuglio trovarono una inusuale icona che raffigurava la Vergine,
sola, senza Bambino. In quei giorni Costantino Monomahos viveva in
esilio a Lesbo e i monaci, ispirati dalla Vergine, gli fecero visita
predicendogli che sarebbe divenuto presto Imperatore: Costantino
promise loro che, se così fosse accaduto, avrebbe costruito una
chiesa nel luogo dove l’icona della Vergine era stata da loro
trovata. Dopo qualche tempo Costantino divenne veramente Imperatore
di Bisanzio e mantenne la promessa inviando immediatamente ai tre
monaci preziosi materiali e abili artisti da Costantinopoli per
costruire il Nea Moni, il Nuovo Monastero. La costruzione
iniziò nel 1042 e fu completata nel 1055 da Teodora, sorella
dell’imperatrice Zoe: la dinastia dei Monomahos mantenne anche in
seguito un forte legame con il monastero e lo protesse sempre col
sigillo imperiale, gli donò proprietà e rendite.
NEA MONI
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I mosaici
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La Vergine
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Nea Moni
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Con
gli anni, il Nea Moni divenne il centro religioso e culturale più
importante di Chios, uno dei più ricchi e noti monasteri dell'Egeo,
con un’importante biblioteca e una rinomata scuola: nel suo momento
di massimo splendore arrivò ad ospitare oltre 800 monaci che
vivevano in celle situate dentro e fuori le sue mura. Con
l'occupazione turca iniziò il suo lento declino finanziario, più
volte venne saccheggiato e distrutto da pirati e mussulmani, infine
la furia degli gli eventi del 1822 e il terribile terremoto del 1881
lo resero quasi irriconoscibile. Il sisma, in particolare, causò il
crollo del duomo, del campanile, e di parte del Katholikon,
come pure la distruzione di molti mosaici. Dal 1875 fino ai giorni
nostri sono stati fatti molti interventi di restauro per la
ricostruzione e conservazione dei monumenti e dei mosaici, cosicché,
nonostante le ingiurie subite, oggi possiamo ancora contemplare la
bellezza della struttura e la raffinatezza dei decori del Nea Moni,
oggi incluso nel catalogo dei monumenti del patrimonio culturale
internazionale dell' UNESCO. Gli edifici del complesso monastico,
dedicato alla Kimissis Theotokou, la Dormizione della Madre di
Dio, sono distribuiti in un’area di circa 17.000 m2,
sono di diversa natura e utilizzo. Il Katholikon, la
chiesa principale abbondantemente decorata con marmi e mosaici,
si trova nel punto centrale del complesso, mentre l'imponente torre
difensiva occupa la parte orientale del sagrato, il refettorio,
Trapeza, è posizionato a sud ovest del Katholikon. la
cisterna seminterrata dell’XI secolo si è conservata intatta
mentre le celle dei monaci sono in totale rovina. Il monastero è
circondato da un irregolare, muro di pietra e all’interno del
perimetro ci sono altre due piccole chiese dedicate alla Santa Croce
e ad Agios Panteleimonas. Di tutto il complesso monastico, l’edificio
di maggiore interesse è il Katholikon, di forma
ottagonale, decorato con marmi, affreschi e mosaici tra i più belli
insieme a quelli del Monastero di Dafni ad Atene e del famoso
Monastero di Osios Loukas vicino a Delfi. Le minuscole tessere, fatte
di pietre naturali multicolore che formano i mosaici del Katholikon,
sono ben più piccole di quelle di Ravenna e disegnano eleganti
figure di Santi ed episodi della Bibbia: il bacio di Giuda, la
Crocifissione, la Resurrezione di Cristo, sono rappresentati in modo
semplice e chiaro, come preziose illustrazioni di un libro sacro.
Uscendo, tutt'intorno al monastero, troviamo i resti di innumerevoli
insediamenti, mulini e case coloniche di coloni che lavoravano per il
monastero, celle per le centinaia di monaci che vi abitavano.
Dal
Nea Moni alla città di Chios ci sono circa 15 Km, la strada scende
dal Monte Provatàs, un grande balcone naturale, con ampi tornanti in
continua discesa offrendo bellissime vedute sulla capitale e la costa
turca con la città di Cesme.
Chios e Cesme
|
Viaggiando versi nord: Volissos e Agia Markella
Volissos
dista circa 40 km da Chios, in direzione nord ovest, e i 40 km per
arrivarci sono spettacolari, una vera scalata alle lisce pareti
rocciose del Monte Epos alte 400-450 mt. Da Chios la strada sale
subito fra i quartieri alti di Vrontados, la seconda città
dell’isola dopo Chios, famosa per i suoi festeggiamenti pasquali in
occasione dei quali si inscena una vera e propria guerra di fuochi
d’artificio fra due quartieri. Poi, appena fuori del paese, inizia
l’arrampicata vera e propria con ampi tornanti, letteralmente
strappati alla montagna, e un panorama mozzafiato su Vrontados, la
Chora di Chios e il braccio di mare che separa l’isola dalla
Turchia. Proprio su una curva che guarda il mare, svetta il piccolo
obelisco del Monumento ai Combattenti della Marina Greca morti nella
battaglia del Monte Epos nel 1912 dopo un'eroica resistenza contro i
Turchi. Quando si finisce di arrampicare, si incontra la cappella di
Agios Gerogios Florianòs, dove, a metà di maggio, in
occasione di una celebrazione dedicata ai pastori, si tiene una
caratteristica fiera con bancarelle che vendono latte, formaggi ed
altre specialità locali. La strada corre quindi in quota, come su un
altipiano fino al piccolo santuario di Agios Isidoros, poi
scollina sul brullo versante occidentale e inizia a scendere verso
Volissos, che appare col suo Castello e, più sotto, sul mare,
il porticciolo di Limnia.
VOLISSOS
|
VOLISSOS é il villaggio più grande della zona
nord-occidentale, una regione rocciosa dominata dai massicci dei
Monti Amanì e Pelineon, la cui vetta tocca i 1297 mt., che la
isolano dal resto di Chios. Il paesaggio circostante di colline e
alture aride, coperte di erbe secche, ha un che di primitivo e
solingo, nei dintorni ci sono borghi diruti, dai Turchi e dal
terremoto, molti mulini ad acqua e a vento ormai abbandonati, piccoli
eremitaggi. Il turismo che arriva a Volissos è attirato da questo
sapore aspro e selvatico, dalla tranquillità e dalle molte spiagge,
tutte poco affollate, alcune molto belle: Lefkathia e Limnos sono
sicuramente fra le più belle e ampie dell’isola. Volissos vanta
inoltre una lunga storia: si trova dove, in antichità, sorgeva una
citta eolica e la tradizione vuole che proprio il porticciolo di
Limnià sia il luogo natale di Omero. Il villaggio di Volissos,
cresciuto all’ombra di una massiccia fortezza, costruita nel VII
secolo dal generale bizantino Belisario, figlio dell’imperatore
Giustiniano, più volte rimaneggiata da Veneziani e Genovesi, si
sviluppa tutto in salita con un groviglio di case, di cui molte in
rovina, costruite con la stessa pietra grigia dei monti e del
castello. Il paese sembra così una compatta massa grigia, interrotta
solo da qualche rara pennellata di calce bianca e dalle belle vie,
corte e strette, pavimentate con ciottoli di mare. La chiesa
principale è dedicata alla Trasfigurazione di Cristo e la sua festa
patronale si celebra il 6 agosto con balli tradizionali. L’imponente
castello a forma trapezoidale con sei torri circolari, racchiude
dentro alle sue mura vari edifici, cisterne per la raccolta
dell’acqua e chiese, cosi come un tunnel che lo collega alla
spiaggia e al comune di Pithonas. Poco lontano da Volissos si trova
un importante e frequentato luogo di pellegrinaggio, il Santuario
di Aghia Markella, la Santa patrona di Chios. Seguiamo dunque le
indicazioni per Agia Markella e imbocchiamo la strada secondaria che
prima tocca la località di Limnos e poi prosegue per altri 7
km lungo costa passando per una serie di bellissime e tranquille
spiaggette completamente deserte.
AGIA MARKELLA è una luogo magico e ci siamo lasciati
totalmente affascinare dalla suggestiva storia della giovane Markella
e dal particolare contesto naturalistico che, come nel caso di San
Isidoro, ne ricorda il martirio. Markella nacque e visse a
Volissos durante il XIV secolo, la madre era una devota cristiana,
il padre mussulmano. Markella era ancora una giovinetta quando la
madre morì, ma lei continuò a leggere la Bibbia e a pregare Dio
vivendo come la madre le aveva insegnato. All’età di diciotto anni
il padre le impose di abbandonare il cristianesimo minacciandola di
morte e lei, impaurita, fuggì fra le vicine montagne nascondendosi
nel fitto della boscaglia. Il padre, con l’aiuto di un pastore
locale, individuò il nascondiglio e appiccò il fuoco per
costringerla a uscirne. Markella per sfuggire corse verso il mare,
ma suo padre scagliò una freccia ferendola. Il sangue della
fanciulla macchiava le rocce evidenziandone le tracce, Markella pregò
intensamente Gesù perché gli scogli si aprano sotto di lei
sottraendola al padre e questo accadde: tutto il corpo viene
inghiottito dagli scogli, tranne la testa. Quando il padre la
raggiuge, furioso e accecato dall’ira, la decapita con un colpo di
scimitarra e getta la sua testa in mare. Il fatto suscita sgomento e
a lungo gli abitanti del villaggio cercheranno invano la testa della
povera Markella per darle sepoltura; solo dopo molti anni, dei
marinai, seguendo una luce che sembrava galleggiare sull’acqua, la
trovarono e la portarono alla suo villaggio natìo.
AGIA
MARKELLA
|
verso il luogo del
martirio
|
Il SANTUARIO di AGIA MARKELLA appare tranquillamente e
serenamente adagiato sulla bella spiaggia sabbiosa che porta lo
stesso nome. Il luogo è riparato dal vento, grandi alberi di
tamerici si chinano dolcemente sulla sabbia, il mare è un’immobile
e invitante tavola blu, sul fondo la grande veranda della taverna con
i suoi colorati tavolini: più che un luogo di pellegrinaggio sembra
un ameno luogo di villeggiatura, più che un luogo di martirio sembra
un luogo di pace, tutto ricorda solo la semplicità, la purezza e la
freschezza della giovane Markella. Gli abitanti di Volissos si
prendono cura con gran devozione di questo santuario e il 22 luglio,
il giorno dedicato alla santa, organizzano la più grande
celebrazione religiosa di Chios a cui partecipano molti pellegrini
provenienti da tutta l'isola, insieme ai chiosesi emigrati in altre
zone della Grecia o all'estero. Nel cortile del monastero si trovano
bancarelle che vendono souvenir religiosi, riproduzioni di icone e
contenitori di plastica per attingere l’acqua dalla fonte
miracolosa; numerose sono le celle dove i pellegrini o i semplici
visitatori possono trovare ospitalità per la notte. La chiesa è
molto piccola, ma piena zeppa di icone e stendardi che raffigurano la
santa e i drammatici eventi delle sue ultime ore di vita. In 20
minuti a piedi dalla chiesa si raggiunge il luogo dove la santa morì
martire della propria fede e dove l'acqua santa zampilla dalle rocce:
accanto a questa fonte avvengono guarigioni e miracoli e, come a
Lourdes, i pellegrini percorrono questo sentiero fiduciosi, lasciano
fiori, accendono lumi nella cappella e attingono l’acqua dalla
fonte. Il sentiero inizia in fondo alla spiaggia e, anche se non si è
in cerca di un miracolo, è molto suggestivo: serpeggia lungo una
piatta scogliera ai piedi di incombenti rocce scure di origine
vulcanica, rasenta sempre il mare e termina ad una minuscola e
semplice cappella. Lungo il percorso, in più punti, le rocce
evidenziano grandi macchie rossastre e sanguigne che, nei giorni
della festa della Santa, si dice diventino ancor più evidenti a
ricordare le tracce lasciate da Markella nella sua fuga… Proprio ai
piedi della cappella, invece, fra gli scogli, zampilla la sorgente
termale da cui sgorga abbondante acqua ferruginosa, rossastra, dolce
e tiepida, che non può che ricordare il sangue: questo è il luogo
dove Markella venne decapitata e il suo sangue si mescola ancor oggi
con l’acqua del mare… se arrivate sin qui, pellegrini o turisti
che siate, non perdetevi questo percorso ma, vi do un consiglio,
fatelo la mattina, nel pomeriggio, il sole picchia sulla nera
scogliera di Markella rendendola un immensa piastra rovente.
|
Ritorniamo alla spiaggia, prendiamo i nostri asciugamani dalla
macchina e ci godiamo per un po’ il mare fresco, anzi freschissimo;
quindi pranziamo alla taverna della spiaggia con sardine grigliate e
una strepitosa quanto inusuale insalata greca a base di salicornia
sottaceto, capperi, foglie di portulaca feta e pomodori. Ci
rimettiamo in viaggio. Ripassiamo da LIMNOS fermandoci a
guardare la sua meravigliosa spiaggia: qui si trovano semplici
studios, taverne e snackbar, poco altro, vedo anche gli Zorbas
Apartments e quasi mi pento di non aver dato retta a Isabella…
dietro la collina c’è LEFKATHÌA, una meravigliosa e
riparata mezzaluna di sabbia con acqua cristallina e un beach bar che
organizza party serali apprezzati dai giovani, quindi il sonnolento
porticciolo di LIMNIÀ, da cui partono i collegamenti per
l’isola di Psarà, con qualche semplice taverna di pesce. A sud di
Limnià, sulla strada costiera cha da Volissos porta a sud, si apre
una zona pianeggiante di origine fluviale con un paesaggio aperto e
piuttosto piatto, meno suggestivo del tratto precedente, con una
buona offerta di taverne, rooms e studios che si affacciano sulle
spiagge sabbiose di MANAGROS, lunga 1,5 km, la più grande
dell’isola, e MAGEMENA. Poi la strada torna a salire verso
il caratteristico villaggio medioevale di SIDIROUNTA
abbarbicato su uno sperone roccioso in posizione molto panoramica
dove, come ad Avgonyma, si trovano piccole e antiche case di pietra
in affitto: il lato occidentale del villaggio è una e vera e propria
terrazza sul mare da cui si gode di tramonti magnifici. Il tratto di
costa da Siridounta a Elinda è uno di quelli che più ci sono
piaciuti, il nostro asfaltato corre alto con bei panorami sull’Egeo
e, di sotto, si susseguono diverse piccole spiagge, quasi neppure
segnalate dalle mappe, meravigliose e completamente deserte,
raggiungibili con brevi deviazioni sterrate che si diramano (senza
indicazioni) ai bordi della strada principale. La bellissima METOCHI
è invece raggiungibile senza alcuna fatica perché la strada
principale scende per un attimo al mare e costeggia la spiaggia:
basta parcheggiare sul bordo della strada sotto una tamerice,
svestirsi e tuffarsi, se poi avete voglia di un gelato c’è una
piccola taverna dietro la spiaggia. L’aria è caldissima e così
facciamo: non resistiamo alla tentazione di una rinfrescata! Ripreso
il viaggio ci fermiamo a fotografare dall’alto le belle baie di
Tigani e Makrià Ammos, quindi, raggiunta Elinda,
risaliamo i monti verso Avgonyma in direzione di Chios, percorrendo
nuovamente la strada di ieri e che ci era particolarmente piaciuta.
I Monasteri di Agion Pateron e Agios Markos
AGION PATERON
|
Questa volta, un paio di Km prima del
monastero di Nea Moni, prendiamo la deviazione sulla destra per il
monastero di AGION PATERON, il più alto fra tutti i
monasteri, quasi sulla vetta del Monte Provatàs. La deviazione è
brevissima e tutta asfaltata, ma piuttosto stretta e ci auguriamo di
non incontrare nessuno che provenga nel senso opposto: il monastero,
con grande effetto scenico, appare all’improvviso, inaspettatamente
immenso e curatissimo. Il complesso monastico di Agios Pateron, dei
Santi Padri, è stato costruito intorno alla santa
grotta in cui vissero i tre monaci, Nikitas, Iossiph e
Ioannis, autori del ritrovamento miracoloso della icona della
Madonna che ha dato origine alla fondazione di monastero di Nea Moni.
Dopo la fondazione di Nea Moni, questa grotta continuò comunque ad
essere utilizzata da asceti come luogo di eremitaggio e preghiera. Il
monaco Jeremiah da Creta, nel 1688, vi costruì la
prima chiesa e alcune celle, poi, nel 1868, il santo monaco Pahomios
originario del vicino villaggio di Elata, ampliò il complesso e lo
portò ad essere il più grande centro monastico dell'isola e una dei
più famosi centri di agiografia. Oggi è un monastero di
semi-clausura in cui si tengono ritiri e incontri spirituali, ci
vivono stabilmente quattro monaci e un guardiano, l'entrata alle
donne è vietata dopo il tramonto. Ci fermiamo titubanti davanti
alla immensa costruzione non sapendo che fare, ma il guardiano si
affaccia da un terrazzo e ci fa segno di entrare. Varcato il portone
ci accoglie un austero monaco, alto e barbuto, si informa della
nostra provenienza e il viso si apre subito in un ampio sorriso
quando gli diciamo che siamo italiani, conosce la nostra lingua e i
nostri grandi luoghi sacri, ci fa entrare nella sala degli ospiti e
insiste per offrirci acqua fresca e lukumas profumati di mastika, ci
accompagna poi a visitare la chiesa principale decorata con
affreschi molto particolari che raffigurano una infinità di santi ed
eremiti. Quindi ci dà accesso alla Santa Grotta dei tre Santi Padri:
immensa e stupefacente, una vera chiesa sotterranea con tanto di
seggi, lampadari e altare.
ingresso alla
Grotta degli Eremiti
|
Lasciamo
questo mistico luogo di silenzio e pace, ripercorriamo la stradina
fermandoci a scattare una foto del Nea Moni dall’alto, proprio
sotto di noi, immerso nella boscaglia dove i tre Santi Padri videro
la luce misteriosa… da qui si ha proprio l’immagine più bella
del Nea Moni. Tornati sulla strada principale, superiamo la
deviazione per il Nea Moni, che abbiamo già visitato, ma poi deviamo
ancora a destra seguendo l’indicazione per il monastero di AGIOS
MARKOS e AGIOS PARTHENIOS. La deviazione è brevissima e
ripidissima, gira intorno al picco aguzzo del monte Penthodos e
conduce a questo monastero, vero nido d’aquila, appollaiato sula
cima dello sperone roccioso come una torre di vedetta. L'ascetico
Parthenios, originario del villaggio di Dafnonas,
iniziò la costruzione dell’attuale monastero nel 1886 e vi avviò
una scuola di pittura religiosa; data la sua posizione, il monastero
divenne anche punto di riferimento e appoggio per l'esercito greco
durante la liberazione dell'isola dai turchi nel 1912. Oggi due soli
monaci vivono nel monastero, mantengono la chiesa e custodiscono la
ricca biblioteca. Dal piazzale antistante il monastero parte un
piccolo sentiero che porta alla graziosa cappella costruita intorno
alla grotta utilizzata un tempo come luogo di eremitaggio e
preghiera: da qui lo scenario naturale e paesaggistico è magnifico,
sembra di poter volare aprendo semplicemente le braccia. Se volete
visitare questo luogo, ricordatevi di arrivare al monastero prima
delle 18.00 e di chiedere di aprirvi la cappella prima di scendere ad
essa.
Eremitaggio di
Agios Parthenios
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Monastero Agios
Markos
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Neppure 500 metri sotto il monastero di Agios
Markos c’è l’antico Monastero di
KOURNAS dedicato alla
Zoodochos Pygi.
Fondato durante l’occupazione genovese fra il 1346 e il 1555 da
monaci domenicani e dedicato a Maria
Vergine Coronata, nel 1658, durante
la dominazione turca, fu trasferito alla chiesa ortodossa ed annesso
al Nea Moni come sezione femminile: a quell’epoca risale la bella
chiesa riccamente decorata. Il monastero oggi non è più
attivo, ma ogni anno ospita ancora una grande festa in occasione
della ricorrenza della Zoodoschou Pigi. Dopo un kilometro si arriva
al villaggio di KARYÉS, un carinissimo villaggio
costruito ai piedi delle lisce pareti del Monte Troulos e disposto
come le gradinate di un teatro greco davanti alla splendida vista
panoramica sulla città di Chios, Kampos e le coste dell' Asia
Minore. Il villaggio di Karyes, che non conta più di 700 abitanti,
ha grande abbondanza di acqua fresca e il centro è attraversato da
un piccolo torrente che rende particolarmente belli e rigogliosi i
grandi alberi di platano e di noce che ombreggiano i kafenion. Dopo 4
km siamo alle porte della città e incontriamo un ultimo monastero,
la recente costruzione della Panagia Voithias, la Madonna del
Soccorso, dove le suore producono lavori artigianali e ricami,
quindi, lasciati i luoghi dello spirito ci tuffiamo inesorabilmente
nel groviglio trafficato delle strade di Chios e torniamo alla base.
Il medioevo di Mestà
Torniamo verso sud alla scoperta di Mestà e la sua zona. Seguendo le
indicazioni di una vecchietta, poco prima di Mestà deviamo a
sinistra per SARAOUNDA: la strada è interamente sterrata,
piuttosto lunga, stretta e con tornanti nell’ultimo tratto,
decisamente impegnativa, soprattutto se si incontra qualcuno che
proviene dal senso opposto. Il panorama è bello, ma dopo tanta
fatica, la spiaggia non ci sembra neppure così imperdibile e
particolare, così risaliamo velocemente e proseguiamo verso Mesta.
Alle porte della città prendiamo a sinistra la deviazione asfaltata
per Trahillià e da questa si prende poi a destra per
Avlonià che si rivela per noi la migliore.
AVLONIA
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AVLONIÀ è una bella e riparata spiaggia di piccoli
ciotolini e grossa sabbia chiara, acqua bellissima ed immobile,
cristallina come solo la Grecia sa regalare, temperatura ottimale,
ideale per una intera mattina di bagni e sole. Alla spalle della
spiaggia c’è un ampio spiazzo dove parcheggiare e una cantina dove
si possono acquistare bibite fresche e snack. Non è attrezzata e non
ha un filo d’ombra, pertanto bisogna arrivare con quanto occorre in
base alle proprie esigenze. Data la sua accessibilità da Mestà e
godibilità anche per i bambini, Avlonià è piuttosto frequentata
dalle famiglie, soprattutto locali, anche se in modo molto lontano
dal nostro concetto di affollamento: quando arriviamo, nella prima
parte della mattinata, è praticamente deserta. Verso mezzogiorno si
sistema accanto a noi una numerosa e rumorosa famigliola locale con
nonni, ragazzotti, genitori e cagnolino: ombrelloni, sedie, borse
termiche, pallettoni e palloni interrompono l’incanto delle prime
ore del mattino. Mentre io e Aldo facciamo il bagno, conversiamo fra
di noi commentando i nostri giorni di vacanza e, per quanto Chios ci
piaccia moltissimo, in questo momento, non possiamo fare a meno di
lasciarci andare ad un nostalgico rimpianto per la magia degli
immensi lidi, deserti e silenziosi, di Lesbo… non l’avessimo mai
fatto! Il nostro vicino di spiaggia, con due bracciate si infila
nella nostra conversazione e, con un buon italiano imparato durante
il suo corso di laurea in medicina a Perugia, vuole a tutti costi
convincerci che è Chios la più bella e la meno turistica delle
isole Egee… non c’è spazio per alcuna replica e veniamo travolti
dalla orgogliosa difesa della sua isola, alla fine, però,
diventiamo amici quando gli dico che Vessa è uno dei paesi che più
mi sono piaciuti in Chios: stavolta ci abbiamo azzeccato, è il suo
paese! La famigliola a questo punto ci invita a pranzare con loro
sotto l’ombrellone, purtroppo li dobbiamo lasciare, ci aspetta
Mestà...
Le
distruzioni del 1822 e il terremoto del 1881 sembrano non aver
affatto sfiorato MESTA’, la cittadina meglio conservata dei
Masticahori che conserva perfettamente intatto il suo fascino
medievale, le sue case di pietra, le sue vie acciottolate, i passaggi
voltati e le torri. Mestà è veramente unica, del tutto diversa da
tutti gli altri villaggi di Chios e della Grecia in genere,
assomiglia molto ai nostri borghi umbri o toscani e solo i quartieri
meno frequentati del centro storico di Rodi sono similari. Arrivando,
restiamo colpiti dalla compattezza della sua cinta muraria fatta di
case cieche verso l’esterno e prive di finestre, quelle che ci sono
state chiaramente aperte in epoca recente. Se guardate un’immagine
di Mestà dal satellite, la sua antica forma di fortezza pentagonale
è ancora ben distinguibile, con la punta più acuta rivolta a
nord-ovest verso il mare e ben fortificata e la base del pentagono
appoggiata alle colline. Casualmente parcheggiamo proprio vicino alla
torre di nord-ovest, una delle tre rimaste, chiamata militas,
oggi abitata da una famiglia che ne ha ingentilito l’aspetto
severo con fiori e tendine. Il nome militas, mlitare, è forse
dovuto al fatto che, essendo orientata verso il mare, rappresentava
il primo baluardo difensivo in caso di attacchi pirateschi dalla
costa.
MESTA - Torre
Militas
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Porta del Capitano
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.. camminando nel
Medioevo…
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Un
tempo, l’unica porta d’ingresso al paese era la “Porta
del Capitano” che veniva aperta all’alba e chiusa al
tramonto, oggi si può accedere al villaggio da cinque ingressi
aperti per le esigenze del traffico dei residenti, ma sembra comunque
di passare da antichi posti di guardia. Varcato l’ingresso troviamo
un modo antico e lontano: un dedalo ordinato e compatto di vicoli
attraversati da volte e archi, un puzzle di antiche abitazioni
dell’epoca Genovese, indipendenti e al tempo stesso legate tra
loro, una addossata all’altra, senza soluzione di continuità. Ma
il labirinto è solo apparente, in realtà tutto segue un preordinato
disegno che converte verso il centro del villaggio, il suo punto
vitale, dove ora c’è la piazza e la chiesa principale, dove una
volta c’era la torre centrale di difesa. La torre centrale, dopo
quella della militias e le altre 4 torri esterne, costitutiva
infatti la seconda linea di difesa e la sua sopraelevata torretta
centrale, più alta di tutte le altre costruzioni, era posta in vista
della torretta di Merovigli che, costruita all’esterno
del paese sulla parte più alta della collina sopra Mesta,
sorvegliava come una sentinella il territorio e l’intero sistema
difensivo della città. L’imponente torre centrale è stata del
tutto demolita a fine ottocento per far spazio alla grande chiesa
dedicata ai Taxiarchi, gli Arcangeli Michele e
Gabriele, pertanto il cuore del paese è ancora la piazza
principale, chiamata “Livadi”, l’unico spazio
aperto del villaggio, con il pozzo principale chiamato “funtana”
e la Cattedrale. Per il pranzo ci fermiamo proprio sulla piazza e
scegliamo “O Meseonas” una caratteristica taverna
con i tavolini all’ombra di grandi alberi e bianchi ombrelloni,
gestita da Ioannis e Despina Bournia. I piatti si scelgono
all’interno e c’è l’imbarazzo della scelta.
Aggiungi didascalia |
la Nuova Taxiarchi
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dalla Cattedrale
si domina il labirinto
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Gli
abitanti chiamano la loro chiesa "Nuova
Taxiarchi" per distinguerla
dalla "Vecchia Taxiarchi",
ben più piccola e antica, e vanno molto orgogliosi del fatto
che sia la più grande chiesa di Chios e una
delle più grandi dell'intera Grecia. In effetti è un opera
monumentale e lo spazio angusto circostante la fa sembrare ancora più
grande: con la macchina fotografica è impossibile averne un’immagine
intera, bisogna accontentarsi dei dettagli. La
chiesa ha una scalinata d’accesso bidirezionale in cima alla quale
si erge la torre campanaria, entrambe sono costruite con belle pietre
di Thymianà. Il sagrato ha decorazioni in ciottoli bianchi e neri
secondo la tradizione di Chios e nel nartece si possono notare alcuni
resti della torre. All’interno ci sono tre navate con pilastri
monolitici, purtroppo ricoperti di malta e colore: la navata centrale
è dedicata a Taxiarchi, quella a nord è dedicata a Agios Haralambos
e quella a sud agli Apostoli. Molte le icone e le offerte votive dei
fedeli, soprattutto di quelli che, avendo origini in Chios, vivono in
altre località della Grecia, negli Stati Uniti e in Australia, in
Russia o in Egitto dove c’è una comunità di Mestà. Non da meno i
contributi in denaro degli emigranti hanno reso possibile la
realizzazione di tale monumento che ha richiesto 10 anni di lavoro,
dal 1858 al 1868, cosa che sarebbe stata impossibile solo con le
offerte dei residenti che, in ogni caso, hanno tutti contribuito,
secondo le personali possibilità, con appezzamenti di terreno,
indennità di denaro o lavoro volontario. All’interno del
paese esistevano ben 19 Chiese, fuori dalla cinta muraria altre 17, a
testimonianza dell’importanza di Mesta, alcune esistono tuttora,
altre sono andate distrutte o adattate ad altri utilizzi. Fra quelle
più antiche si possono ancora vedere la Vecchia Taxiarchi,
Paleo Taxiarchi, dell’XI secolo, che dopo essere
stata un monastero divenne la chiesa principale del villaggio fino
alla costruzione della Nea Taxiarchi, e quella di Aghia
Paraskevi, l’unica che non venne saccheggiata dai Turchi
nel 1822.
silenziose
gallerie
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segreti giardini
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antiche chiese
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Riprendiamo
la macchina e in 4 kilometri raggiungiamo il porto di Mestà, LIMENAS
o LIMANI MESTON, il porto naturale più riparato e ampio
dell’isola, considerato la Porta Ovest dell’isola perché
consente l’ormeggio anche alle grandi navi che effettualo i
rifornimenti all’isola: il grande specchio d’acqua immobile
luccica di stelle argentee con il riflesso del sole in controluce, il
lungomare profuma di salmastro e le taverne richiamano l’attenzione
sui loro piatti a base di pesce, una che si chiama “O Sergis
since 1922” ha tavolini, sedie e tovaglie blu che si
confondono con il mare. Continuando lungo la frastagliata costa
occidentale si incontrano le baie di Didima, Potamoi, Agia Irinis ed
Elata. Pieghiamo quindi verso l’interno e dopo 3 km incontriamo
ELATA, un altro villaggio medioevale fortificato, costruito su
una ripida collina e ancora ben conservato, proseguiamo per altri 4
km e arriviamo a Vessa e da lì ad Armolia.
I martiri di Agios Minas
Sulla
strada da Armolià a Thymianà faremo due deviazioni. Poco prima di
Tholopotami prendiamo a destra per la Panagia Sikelià,
l’indicazione è ben visibile venendo dal nord e del tutto
invisibile venendo da sud, ma all’andata mi ero segnata i
riferimenti e la imbocchiamo sicuri. La strada corre alta su un
crinale collinare, privo di abitazioni e verdissimo, mirti e
alberelli di mastica creano una coltre compatta e profumata, non
incontriamo alcuna ulteriore indicazione e così continuiamo a
seguire fiduciosi la strada finché, in lontananza, appare fra il
folto degli alberi la cupola bizantina della chiesa che cerchiamo.
Panagia Sikelià
|
La
PANAGHIA SIKELIÀ è un’isolata basilica orientaleggiante
con una decorazione particolarmente elaborata: squisiti intrecci di
mattonelle creano trine di cotto e suggestivi chiaroscuri, le
ceramiche danno un tocco di inaspettato e frivolo colore, la cupola e
gli archi della unica navata creano una struttura mossa e danzante.
La piccola basilica, che risale al XII o XIII secolo, è un vero
gioiello ed uno dei più importanti monumenti bizantini dell'isola,
purtroppo la troviamo chiusa e non riusciamo a vedere i suoi
affreschi che, pare, siano ancora quelli originari dato che non hanno
rivelato nessuno strato ulteriore. Il suo ricercato decoro e la sua
posizione in totale isolamento, hanno fatto pensare che si trattasse
del Katholikon di un monastero andato distrutto, ma di questo
monastero non c’è alcuna traccia: l’unica certezza è questa
gemma nascosta fra gli alberi, il suo caldo colore e le sue pareti
increspate come un abito leggero dal vento, il suo silenzio e la sua
pace, dimenticata del tempo, dalle rovine e dalle distruzioni, dagli
uomini.. Tornati sulla strada principale, superato il villaggio di
Tholopotami deviamo ancora a destra seguendo l’indicazione
per Kallimasià e Agios Minas. Quando il
Reverendo Padre Minas costruì il suo monastero tra il 1572 e il 1595
sulla cima di una collina appena fuori dal villaggio di Neohori
neppure lontanamente avrebbe immaginato che questo luogo sarebbe
tristemente passato alla storia.
Agios Minas
|
Durante
l'occupazione turca la scuola del monastero di AGIOS
MINAS aveva continuato nella sua
missione e la biblioteca si era arricchita acquisendo notevole
importanza. Ma venne la primavera del 1822 e l’intera isola venne
sconvolta dai massacri Ottomani a seguito delle rivolte per
l’indipendenza: il 2 Aprile era il Sabato Santo, nel Monastero di
Aghios Minàs si rifugiarono 3.500 persone, soprattutto donne e
bambini, sperando nella pietà e nella salvezza. Non fu così, tutti
perirono, massacrati nei cortili del monastero
o bruciati vivi dentro la cappella…. Dopo il massacro, qualche
monaco tornò ancora ad Agios Minàs ma nel 1932 fu convertito in
monastero femminile e le suore avviarono una scuola di ricamo e
cucito. Le suore oggi sono una decina, la maggior parte anziane, una
di queste ci accoglie al severo portone di ingresso e ci accompagna
a visitare il monastero: tutto è semplice, lindo e ben curato,
l’unica frivolezza è il pavimento del cortile, un grande tappeto
arabescato fatto di ciottoli marini bianchi e neri. Quando entriamo
nella Cappella
è inevitabile rivivere gli eventi: la riproduzione del dipinto Chios
Massacre di Eugene
Delacroix esposto all’ingresso
è la prima cosa che la suora ci mostra e commenta, poi ci
invita a guardare le macchie sul pavimento della cappella che, ci
dice, esser state prodotte dai corpi bruciati ….
esco …. ma la suora mi fa cenno di seguirla verso un piccolo
Mausoleo
nel cortile e qui, come in un grande pietoso reliquiario illuminato
da una lampada perpetua, sono conservate le ossa dei martiri, quello
che rimane delle 3.500 vittime di Agios Minàs, e le porte della
cappella, quello che rimane dell’antico monastero… e ora sembra
tutto così lontano e irreale: tutto è candido e ordinato, le
farfalle girano attorno alle corolle dei fiori, l’aria profuma di
cera e incenso, il cielo è luminoso e chiaro, un traghetto
proveniente dalla Turchia solca il mare tranquillo lasciando una
lunga scia di spuma bianca....
silenzio
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preghiera
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pace
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Chios: la città dei Giustiniani e di San Tommaso
La
città di CHIOS non è sicuramente la più bella ed elegante
dell’isola, non è neppure un luogo ameno in cui soggiornare, ma,
per quanto se ne parli male, decidiamo di dedicarle comunque un paio
di ore e, dobbiamo dire, qualche sorpresa l’abbiamo avuta. Il
centro pullula di negozi, ristoranti, librerie, edicole, internet
point, bar e locali da cui esce musica internazionale che si mescola
con quella ellenica tradizionale. Il lungomare è proprio lungo lungo
e perennemente percorso dalle auto e dai camion che arrivano e vanno
verso la banchina del porto dove attraccano i traghetti. Traffico,
rumore e olezzo di idrocarburi non scoraggiano gli abitanti di Chios
a far sosta ai tavolini dei caffè dove ci si incontra con gli amici
e si sbrigano gli affari: qui ci si rende ben conto che Chios vive di
vita autonoma e che non considera il turismo come una delle
principali entrate. Il cuore della città moderna è Plateia
Vounaki: la trovate facilmente, di poco arretrata dal mare,
coronata dall’oasi verde dell’ampio parco comunale. Con il mare
alle spalle e i giardini davanti vi orienterete facilmente, i
parcheggi per le auto sono sulla destra, a ridosso del castello, a
sinistra parte la Via Aplotaria che con le sue
diramazioni costituisce il centro commerciale della città. Sempre
sulla sinistra della piazza trovate la caratteristica Moschea
di Abdul Medjit, con il suo scuro minareto, trasformata in
Museo Bizantino, la Pinacoteca ospitata
in un basso edificio che ricorda i magazzini veneziani e il centro
culturale “Homerion”, situato in un palazzo donato
alla città nel 1974 da Micheal e Stamatia Xyla, sede di importanti
eventi artistici e culturali fra cui il festival dedicato alle Danze
Greche tradizionali, alle rappresentazioni teatrali di aneddoti
dell’isola, canzoni, mostre di pittura e ricami. Praticamente in
fondo a Via Aplotaria si trova la Cattedrale di Agios Victores
costruita nel 1881 con accanto della Biblioteca di Korais,
un bianco edificio con l’ingresso a tempio, una delle più ricche
in assoluto di tutta la Grecia, a cui si associa il Museo di
Filippou Argenti con i suoi rari manoscritti. Se volete
visitare il Museo Archeologico, lo trovate un poco più
a sud, nella zona dell’Università e dello Stadio, alla fine del
porto. Alla fine conveniamo che la città moderna di Chios non ha
alcun fascino, del resto, gli antichi palazzi genovesi sono stati
costruiti tutti fuori dalla città, nella contrada chiamata Kampos,
e, dal punto di vista urbanistico, la zona antica della città di
Chios è tutta racchiusa nella sua fortezza.
Chios - Piazza del
Castello
|
Cimitero Ottomano
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…case perse…
|
…case
ritrovate...
|
Il
CASTELLO di Chios, di cui sono ancora ben conservate alcune
sezioni della cinta muraria, le torri ed una delle porte, venne
costruito dai Bizantini nel IX secolo, ulteriormente fortificato dai
Genovesi nel XV secolo e dagli Ottomani successivamente. Fortemente
danneggiato nel corso dei secoli dalle piraterie e dal terremoto del
1881, il forte è stato oggetto di restauri che hanno ridato vita
alle Prigioni e alla fontana di Krya Vrysi, uno degli
emblemi della città. Lo stemma della Famiglia Giustiniani, formato
da tre torri sormontate dall’aquila imperiale, è ben visibile
sulla torre settentrionale del castello. L'intero corpo fortificato
era circondato dal mare e da un ampio fossato attraversato da ponti.
L’entrata del castello è a sud, vicino al porto, dove c’è la
monumentale Porta Maggiore: varcate le mura di entra
nella città vecchia che, incredibilmente, è tuttora abitata e dove
nulla sembra esser cambiato da quando i turchi l’hanno abbandonata
dopo la sua rovina... Il quartiere interno costruito a partire dal X
secolo in età Bizantina, conserva molti elementi Genovesi e Turchi,
gli uni accanto agli altri. Sulla Piazza del Castello
si affacciano antichi edifici restaurati di cui uno è occupato da un
invitante caffè pasticceria e l’altro da un negozio di prodotti
artigianali, in fondo c’è il Cimitero Ottomano,
pieno delle caratteristiche stele di pietra decorate, e, appena
dietro, la mole turrita del severo Palazzo Giustiniani
accanto alle Prigioni. Prendiamo la via principale
contornata da antiche case turche con la parte superiore di legno,
alcune sono restaurate e molto belle, altre in totale rovina e
cadenti, passiamo accanto alla Moschea Bairaklì ed
arriviamo alla suggestiva chiesa bizantina di San Giorgio,
protettore di Genova. Arriviamo quindi ai bastioni settentrionali e
alla spianata dove si trovano, perfettamente restaurati, i Bagni
Turchi; saliamo sugli spalti orientali ancora massicci e
contempliamo lo stretto canale di mare con la Turchia sull’orizzonte,
poco lontano c’è la fontana Krya Vrysi in bianco
marmo dell’Asia Minore che dispensa l’acqua di una antica
cisterna. Arrivati all’ultima torre chiamata Koulas
individuiamo anche le chiesette di Agios Georgios Kehri
e di Agios Nikolaos. In questa zona a ridosso del
porto, la città vecchia è ancora più cadente, eppure abitatissima,
i bimbi giocano a pallone su spiazzi polverosi circondati dalle
rovine o a nascondino fra le case cadenti: qui le banchine del porto
sono vicinissime e le mura sono state del tutto spianate, qui la
violenza della distruzione è stata totale.
San Giorgio
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Bagni Turchi
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Palazzo
Giustiniani
|
Andiamo
a riprendere la macchina e passiamo accanto alla Fontana Turca di
marmo bianco di Melek Pasha, un grazioso esempio del tardo barocco
turco; ci fermiamo anche ad osservare il cartello che attesta il
gemellaggio fra la città di CHIOS e due città italiane. La
prima di queste è GENOVA. Nonostante lo stretto legame fra
due città durato un paio di secoli, solo nel 2001 è stato
ufficializzato un vero e proprio gemellaggio, da cui, poi, hanno
avuto origine una serie di intensi scambi culturali. Nel settembre
2005, invece, si è celebrato il gemellaggio con ORTONA. Il
legame con questa città della provincia di Chieti è curiosamente
dovuto alla comune venerazione per San Tommaso Apostolo. Scopriamo
così che un altro grande Santo è passato per Chios….
Secondo
un'antica tradizione, SAN TOMMASO iniziò la sua opera di
evangelizzare dalla Siria,
passando poi in Mesopotamia, dove fondò la sua prima comunità in
Edessa,
l’attuale Sanliurfa turca, poi raggiunse Babilonia,
dove fondò un’altra comunità presso cui visse sette anni. Quindi
si spinse fino all'India
sud-occidentale, che raggiunse via mare nell'anno 52,
dove iniziò la predicazione nella città portuale di Muziris
e fondò successivamente numerose comunità cristiane in tutta la
regione del Kerala. Dall’India si recò in Cina
per poi tornare ancora in India sulla costa
sud-orientale del
Coromandel morendo a Mylapore
e lì sepolto. Nel III
secolo avvenne nel sud dell'India una delle prime violente
persecuzioni anti-cristiane e i fedeli vollero salvare le ossa di
San Tommaso trasportandole nella sua prima comunità, Edessa,
da cui, poi, vennero traslate in un luogo ritenuto ancora più
sicuro: l'Isola di Chios.
San Tommaso riposò in pace per ben 1.000 anni, fino a quando, nel
1258, arrivarono a Chios alcune galee armate che facevano parte della
spedizione militare organizzata nell’Egeo da Manfredi, Principe di
Taranto e futuro re delle Sicilie, desideroso di estendere il suo
dominio in Oriente dove l’Impero di Bisanzio era ormai in agonia.
Dopo il saccheggio dell’isola, il 10 agosto, Leone
Acciaiuoli, comandante delle 3 galee di Ortona, aiutato da
pochi compagni fidati, trafugò da Chios le ossa di S. Tommaso e la
lapide marmorea che le copriva, spiegando immediatamente le vele per
l’Italia. Il 6 settembre 1258 Leone e le sue 3 galee entrarono nel
porto di Ortona e la popolazione portò in processione
ossa e lapide fino alla cattedrale dove S. Tommaso ancora riposa,
ormai da più di 750 anni.
dentro le Mura
|
Porta Maggiore
|
I sobborghi di Chios: Vrontados e Daskalopetra
Prendiamo
la strada per Vrontados, costeggiando sempre il mare, e arriviamo ad
incrociare una fila di bellissimi MULINI. Arrivando, quasi non
si nota il piatto molo che si protende verso il mare e i
caratteristici mulini sembrano sorgere dal nulla, quasi galleggiare,
specchiandosi vanitosi nell’acqua cristallina e immobile. Questo
piccolo angolo di Chios mi è piacito molto e trovo che, oltre ad
essere molto fotogenico, abbia anche un fascino molto particolare. I
4 mulini, anche se sono vicini ad una strada trafficata e
circondati da un quartiere ordinario che sembra indifferente alla
loro presenza, riescono ancora a trasferire la suggestione di altri
tempi, complice anche il loro stato di parziale e sommario restauro
che non ha cancellato dalle pietre le cicatrici del tempo, complice
anche la odierna trascuratezza che lascia un certo alone di nostalgia
per i giorni in cui le loro pale giravano allegre al vento, complice
anche la presenza di bagnanti locali, anziani e ragazzini, che
cercano refrigerio dalla calura non sulle spiagge ma nel semplice e
umile mare sotto casa.
i Mulini
|
… ricordo di
vita umile
|
… orgoglio di
onesto lavoro
|
Percorsi
circa 7 km dalla Chora, arriviamo quindi alla spiaggia di
DASKALOPETRA, una delle più famose spiagge dell’isola che,
con piccoli sassi e acque cristalline, assomiglia a una spiaggia
delle Sporadi. L’area circostante è molto verde, fresca e
lussureggiante, piena di hotel, appartamenti, monolocali, ristoranti,
bar e taverne rinomate per i piatti a base di pesce fresco. La
località è nota anche con il nome di Vrissi tou Papà,
Fontana del Prete, per via della fontana costruita ai tempi
dell’occupazione turca e che ancora fornisce acqua potabile, ma il
suo monumento più famoso è la Daskalopetra, la
Pietra del Maestro, una grande roccia, lavorata nella sua parte
superiore in modo da assumere la foggia di un sedile, facente parte
di un antichissimo santuario dedicato alla dea Cibele.
“Cantami,
o Diva, del Pelìde Achille l’ira funesta che infiniti lutti
addusse agli Achei…” eccomi qui, che emozione, seduta
sulla pietra di Omero a declamare i suoi versi…. La tradizione
vuole che in questo luogo fossero portati i ciechi e che tra questi
ci fosse anche Omero che, seduto sull'enorme masso, recitava i suoi
immortali poemi ai suoi discepoli. A parte la suggestione della
leggenda, il luogo, con i suoi grandi alberi e la sua meravigliosa
vista sul mare, è comunque molto bello. Il grande sedile di roccia,
alla cui base sono scolpiti dei piedi a zampa di leone, è al centro
di uno spiazzo quasi circolare contornato da una sorta di rustica
gradinata, appena accennata e pure ricavata dalla roccia: l’insieme
può sembrare proprio un’antica aula universitaria in plein air.
“Cantami, o
Diva del Pelide Achille l’ira funesta..”
|
seggi di pietra
per un’aula plein air
|
Le segrete dimore di Kambos
Sulla
via del ritorno, superata Chios e arrivati all’aeroporto, lasciamo
la strada principale che costeggia il mare e ci addentriamo nel
reticolo labirintico di KAMBOS. Questo stranissimo,
affascinante e suggestivo quartiere si stende in una zona
pianeggiante a sud della città di Chios, lunga circa 10 km e larga 2
km,
una verde oasi protetta e nascosta dalle colline su cui oggi corre,
come un anello di asfalto o un cammino di ronda, la strada che
dall’aeroporto va verso Karfas toccando poi Tymianà, Neochori,
Vavili, Vasilioniko per finire ancora all’aeroporto. La sua
posizione interna ed arretrata rispetto alla costa, naturalmente
difesa dalle colline che formano una sorta di cinta murata,
suggerisce la volontà di creare un quartiere riservato, defilato e
protetto dagli attacchi improvvisi dal mare. Difficilissimo, se non
impossibile, orientarsi nel dedalo di Kambos, le indicazioni sono
pochissime, quasi inesistenti, le stradine si assomigliano tutte, i
muri di cinta e i grandi alberi delle antiche dimore nascondono i
pochi punti di riferimento: ma datemi retta, meglio non spendere
energie nel cercare di individuare gli sparuti cartelli segnaletici o
nel decifrare le mappe, meglio andare a caso e prestare invece bene
attenzione a quello che vi scorre intorno… questo labirinto è
fantastico! Come sappiamo nel 1346 l'isola venne occupata dai
Genovesi che ne mantennero il possesso fino il 1566. I Genovesi
occuparono Chios senza spargimenti di sangue, vi facevano
inizialmente scalo con le loro navi dirette a Smirne, poi iniziarono
a stabilirvisi ottenendo dall’impero bizantino permessi e privilegi
commerciali divenendone dominatori assoluti. Animati dal loro
spiccato spirito mercantile e considerate le caratteristiche
climatiche e geofisiche dell’isola, svilupparono e
‘industrializzarono’ la coltivazione del masticha e quella degli
agrumi, avviarono la sericoltura e società di trasporto marittimo;
sfruttarono la manodopera locale e imposero tasse, ma assicurarono
200 anni di pace, sviluppo commerciale e splendore economico.
KAMBOS, la “pianeggiante”, era il quartiere
residenziale dei nobili genovesi, qui, fra il XIV e il XVI secolo,
vennero edificati i loro palazzi, gli Archonticà,
secondo il gusto e lo stile architettonico genovese ma utilizzando la
meravigliosa pietra dalle sfumature sanguigne estratta dalle vicine
cave di Thymiana. L’architettura di questi palazzi o ville ha uno
stile tutto suo, non rintracciabile in nessuna altra parte delle
isole dell’Egeo, e del Mediterraneo in genere: le case sono
imponenti e solide, di due o tre piani, hanno scalinate, nobili
accessi ad arco, sontuosi portali con gli stemmi delle nobili
famiglie, portici con colonne in marmo, finestre con piccole volte,
balconi e cancelli lavorati, soffitti affrescati, il tutto
splendidamente animato dalle studiate alternanze cromatiche di
pietre di Thymiana dalla diverse sfumature. Ogni residenza aveva
giardini lussureggianti, famose le coltivazioni di raffinate orchidee
e di profumati agrumi, fra cui il particolarissimo Mandarino di
Chios con cui ancora oggi si aromatizzano liquori e
rinfreschi; i cortili erano abbelliti da pergolati in fiore e vasche
sulle quali galleggiavano eleganti ninfee o fiorivano i loti. Oggi
come allora, queste dimore stanno ben nascoste dai loro giardini,
irrigati dai caratteristici pozzi chiamati manganos
azionati da grandi ruote che attingono l’acqua, solo i grandi
alberi di agrumi sbucano scuri e rigogliosi dietro le alte pareti dei
muri di cinta dando a questa zona il senso di una vera e propria
foresta. Si legge che le ricche dimore costruite dai Genovesi in
questo quartiere fossero circa 200, le stesse vennero sempre abitate,
mantenute, ampliate ed arricchite nei secoli successivi di
dominazione ottomana dalle famiglie aristocratiche locali ed oggi
molte sono di proprietà degli armatori locali, la nuova classe
dirigente di Chios che controlla metà delle navi cargo della flotta
ellenica. La rovina del quartiere, come per il resto dell’isola,
arrivò nel 1822, durante la violenta repressione Turca, ma la più
parte delle dimore venne distrutta dal terremoto del 1881, altre
vennero costruite sulle loro rovine nei decennio successivi. Di
quelle rimaste, molte sono oggi ancora abbandonate e in rovina ma
altre, restaurate sono diventate alberghi dove è possibile entrare a
curiosare come il romantico Riziko Mansion, quasi un
cottage bretone in versione mediterranea, il seducente Perivoli
Hotel, col suo museo del cedro, oppure il lussuoso Argentikon
Luxury Suites, un vero castello dove sognare di soggiornare
almeno una volta nella vita. Percorrendo in auto le stradette di
Kambos senza una meta precisa, incontrerete questi palazzi, così,
casualmente, vi stupiranno. La villa dei Perivoli è
uno degli edifici più belli di Kambos, costruito dopo il terremoto
del 1881 e restaurato tra il 1979 e il 1980, interamente edificato in
pietra di Thymiana, con meravigliose scale, abbellite da colonnette
scolpite e corrimani in pietra, un elaborato cancello eclettico, un
bel cortile lastricato a sassi bianchi e neri con fontana e cisterna
per l’acqua. Il palazzo degli Argenti, considerata
come una delle 100 dimore medioevali più belle al mondo, è stato
riportato al suo originario splendore grazie ad un minuzioso lavoro
di restauro degli anni ’30, ora ospita il lussuoso Argentikon,
gestito ancora oggi dalla stessa famiglia presente sull'isola da più
di sei secoli, custodisce arredi, oggetti, mobili antichi, la storia
di una famiglia e, al tempo stesso, di un’isola. Se le antiche
dimore Rallis e Petrokokinos restano
in rovina, meglio conservati, costruiti o riedificati dopo il
terremoto del 1881, ci sono i palazzi Kasanova, vicino
al torrente Kokkalàs, Mavrokordato, il cui portale è
sormontato da un grande stemma dei Giustiniani, Zygomala,
Kalouta, Kalvocoressi e Mitarakiko, uno dei
più grandi di Kambos. Quest’ultimo è stato la residenza della
famiglia del pittore greco Yannis. Mitarakis (1897 – 1963)
che utilizzava proprio il piano terra come atelier: forse vi è
capitato di vedere le sue ‘forti’ vedute di Santorini….
Tetteriko è infine un’altra grande antica
residenza con un edificio principale, due dependance, un grande
cortile lastricato con la fontana, un parco di 4 ettari: il palazzo,
distrutto dal terremoto del 1881, venne ricostruito e nel 1990
dichiarato monumento nazionale insieme ai palazzi Mitarakiko
e Perivoli.
Pensieri sulla terrazza della Taverna Roussiko
E
siamo alla fine della nostra vacanza, ci dirigiamo a Thymianà, il
paese dalle è sabato sera e la Taverna Roussiko
è più affollata del solito, c’è anche una lunga tavolata con
coppe piene di confetti rosa per festeggiare il battesimo di una
bimba. Saliamo sulla terrazza più alta, quella sopra i tetti da cui
si domina il paese, le tavole sono apparecchiate con cura e i lumini
accesi mandano romantici bagliori sui grandi bicchieri: è un vero
piacere cenare quassù, l’aria è fresca e il cielo vicino, il
vociare allegro della gente locale sulla piazzetta giunge come un’eco
smorzata ed ovattata dalle antiche pietre delle case circostanti, il
vino è fresco e i piatti profumano d’oriente... Il cielo sopra di
noi è buio e già messaggero di una notte limpida, ma verso Kambos e
i monti abitati da monasteri, dalla parte dove è tramontato il sole,
tornano ancora bagliori corruschi…. bassa sull’orizzonte una
luminosa stella solitaria si fa sempre più grande e brillante, un
diamante che cattura lo sguardo finché non appare sulla scena una
sottilissima e meravigliosa falce argentata, una lama di luce bianca,
la Luna….. CHIOS, nella sera, diventa un pensiero unico e
prepotente…. Nell’aria il profumo dei gelsomini si mescola con
quello degli agrumi: limoni cedri mandarini e arance; arriva da sud
il profumo intenso del masticha, dai monti scende quello dei pini,
dalle colline quello dei mandorli amari e del timo violetto… I
villaggi medioevali, gli antichi monasteri, le ville patrizie
genovesi, le case turche del kastro, tutta la storia che non si può
ignorare se si vuole capire l’atmosfera dell’isola… Le mille
voci della sua gente, i versi di Omero e la musica di Mikis
Theodorakis, entrambi figli di questa terra, le mille lingue dei suoi
invasori, bizantini, veneziani, genovesi, turchi e ora l’inglese
dei turisti e degli emigranti… La regina degli oceani e del mare,
le sue innumerevoli navi, i suoi impavidi navigatori, marinai,
armatori, forse anche Cristoforo Colombo.... I testimoni di Cristo, i
grandi Santi, monaci, eremiti abitatori delle grotte, una martire
fanciulla che ora protegge l’isola….. Gente comune, contadini,
uomini, donne, vecchi e bambini diventati eroi per aver versato il
loro sangue su questa terra rossa, rossa come il loro sangue, rossa
come questo cielo….
Chios… terra
rossa
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INFOMEMO
Questo
racconto fa parte dei miei DIARI dell’EGEO del NORD,
le isole che abbiamo visitato in questa zona sono Thassos,
Samotracia, Limnos, Agios
Efstratios, Lesvos e Chios.
Tutte queste isole sono state da noi visitate nel mese di Agosto e le
abbiamo trovate tutte gradevoli, sotto ogni profilo: tranquille,
genuine e poco affollate. Solo Thassos e Chios, in agosto, sono un
poco più affollata delle altre: Thassos per la sua vicinanza alla
costa Tracia è meta prediletta sia da turisti Greci che Bulgari,
Chios è molto frequentata da turisti di origine isolana emigrati in
UK, USA, Australia e che vi tornano con amici e conoscenti, discreta
anche la presenza di Turchi data la vicinanza e i frequenti
collegamenti: Chios è l’unica isola greca in cui abbiamo trovato
guide turistiche, menù, indicazioni anche in turco. CHIOS si
presta molto a una vacanza varia e ricca di ingredienti: nella stessa
giornata si possono alternare momenti di totale relax marino,
percorsi di interesse naturalistico e paesaggistico, passeggiate per
antichi paesi, visite a suggestivi monasteri e siti carichi di storia
e leggenda. Così abbiamo organizzato le nostre giornate dedicando
buona parte della mattina al sole e il mare, il momento più caldo
della giornata al pranzo in un paese caratteristico con successiva
passeggiata per le ombrose viette e facendo tappa, sulla via del
ritorno, nelle località di interesse che si incontravano... CHIOS,
per un turista curioso, è una vera miniera di cose e luoghi di
interesse, alcuni unici al mondo come il mastice e le architetture
medievali dei suoi paesi in cui oriente e occidente si sposano
armonicamente, impronte bizantine, genovesi e veneziane si mescolano
a tracce arabe dando vita a paesaggi urbani estremamente suggestivi.
La pietra sanguigna e la terra rossa, le montagne di pietra nuda o
coperte da boschi, le spiagge bianchissime o nere di lava, il mare
azzurro intenso o verde smeraldo colorano il paesaggio di Chios,
eppure, nonostante la varietà paesaggistica e i motivi di interesse,
Chios rimane ancora fuori dall'attenzione del turismo italiano
(greci, anglosassoni e nordici in genere ci sono). Nessun tour
operator italiano offre pacchetti per questa meta, del resto le
strutture turistiche sono quasi tutte di piccola dimensione, sia
alberghi che ricettività familiare, e ciò rende, sicuramente e
fortunatamente, problematica l'accoglienza di grandi numeri. CHIOS
è di dimensioni notevoli pertanto, come Lesvos, in una settimana è
impossibile vederla tutta, ma già se ne potrà conoscere buona parte
si riusciranno ad apprezzarne particolarità e fascino; non può
assolutamente essere una meta mordi e fuggi, ne restereste delusi,
non è un’isola che si abbraccia con un colpo d’occhio, è
complessa e articolata, un vero mosaico di tessere molto diverse sia
dal punto di vista paesaggistico che urbano, ci vuole un po’ di
tempo a raccoglierle e metterle insieme. CHIOS non piacerà ai
frettolosi che vogliono un’isola di pronto consumo, non piacerà ai
pigri, a chi non ha interesse alle vicende umane e insegue solo un
elenco di spiagge; CHIOS piacerà moltissimo a chi possiede
occhi che vogliono vedere e conoscere, a chi ha interesse per la
storia, a chi ha il cuore vicino agli uomini.
Il
mezzo più comodo e veloce per raggiungere Chios dall’Italia è
sicuramente l’aereo: prendete un volo su Atene e da lì un volo
interno (ca.100 euro a testa) vi porterà in 50 minuti sull’isola.
Noi abbiamo utilizzato voli low cost EasyJet + voli
interni Olympic In alternativa al volo interno è possibile
prendere dal Pireo un traghetto, la rotta è ben servita da Blu
Star, Nel Lines e Hellenic Seaways
che partono praticamente tutti i giorni, partenza 3 volte la
settimana anche dal porto di Lavrio: con i traghetti lenti ci
vogliono almeno 8/9 ore, con i veloci 5/6. Nella nostra vacanza di 16
giorni abbiamo abbinato Chios e Lesvos (vds. diario “Lesvos - il
Regno della Poesia” pubblicato su Maldigrecia o Tpc) e pertanto
il nostro itinerario completo è stato: volo Milano – Atene
(Easy), Atene - Salonicco – Lesvos (Olympic,
chiaramente c’era anche il volo Atene Lesvos diretto, ma per noi
era più comodo questo), Lesvos – Chios (2 ore di traghetto Blu
Star Ferries euro 20 a testa, acquistato in loco il giorno stesso
della partenza). Chios – Atene (Olympic), Atene – Milano
(Easy).
CHIOS come
muoversi:
L’isola
è grande, ben 848 km2, praticamente 8 volte l’isola d’Elba:
con 213 km di coste è la quinta isola della Grecia. Indispensabile
un’auto o una moto grande, impensabile visitarla con i mezzi
pubblici o con uno scooter facendo base in un unico luogo. Abbiamo
percorso circa 800 km in 8 giorni pieni e abbiamo necessariamente
tralasciato una buona fetta del Nord. Le strade sono tutte belle,
asfaltate, in buono stato, anche in agosto, il traffico è piuttosto
limitato e circoscritto alla zona Karfas – Chios - Vrontados,
vicino alle spiagge più frequentate si trova un poco di confusione
ma si parcheggia comunque senza particolari problemi: per il resto,
pur non essendo deserta come Lesvos, si incontrano poche auto.
L’isola è praticamente divisa in 2 parti, piuttosto differenti: la
parte sud, con bassi rilievi, i villaggi del Mastichahori e le
spiagge più conosciute, belle e frequentate, la parte nord, con alte
montagne, piccoli villaggi e molti monasteri o eremitaggi, coste più
frequentate sul lato orientale, praticamente deserte sul lato
occidentale. Abbiamo acquistato on-line con il broker AutoEurope
un auto basic, euro 258 (compreso rimborso franchigia)
pagati tutti alla prenotazione con carta di credito; ritiro in
aeroporto la domenica mattina e riconsegna in aeroporto la domenica
mattina della partenza. Modello consegnatoci Volkwagen Polo 1400
contratto Hertz. L’Aeroporto di Chios è 4 Km dal
porto, il tragitto in taxi porto /aeroporto ci è costato 8 euro.
CHIOS dove dormire:
Le
soluzioni sono diverse, dipende da quanto tempo avete a disposizione
e che genere di vacanza avete in mente. La prima soluzione è fare
punto base nella zona centrale dell’isola e spostarsi in giornata
verso i luoghi di interesse con percorsi sempre diversi: Kambos,
Tymiana o Karfas vanno bene, sia per gli itinerari
turistici durante la vacanza che per la vicinanza a porto e
aeroporto. Abbiamo scelto Karfas, pensando di stare vicino al mare,
poi al mare di Karfas ci siamo stati una sola volta il giorno del
nostro arrivo.
Abbiamo
soggiornato al CHIOS PANORAMA - Chios Dolphins,
www.chios-panorama.gr,
tel. +30.2271043562 mob. +30.6948249111 Sulla collina sovrastante
la baia di Karfas, gestita dall’esuberante e sportivo KOSTAS,
generoso e ospitale, pronto per ogni informazione e necessità.
Impagabile il terrazzo vista mare, la notte potevamo lasciare tutto
spalancato e l’aria fresca entrava a meraviglia. Le camere,
piuttosto piccole, spartane e senza pretese, sono fornite di tutto
quanto occorre, i bagni sono vecchio stile ma il wifi era gratuito e
accessibile dalla stanza. Economico e tranquillissimo. Una seconda
soluzione potrebbe essere dividere la vacanza fra un soggiorno a
nord, in zona Volissos, e un soggiorno a sud, in zona Pyrgi –
Olympi. Ma se devo esser sincera, il cuore l’ho lasciato ad
Avgonyma e alle sue case di pietra che guardano il mare e il
tramonto, a 10 minuti dalla baia di Elinda... prendete nota SPITAKIA
di George Misetzis, tel. +30.2271081200, 2271020513-4, 2271042702,
mob. +30.6974175471, e-mail kratisis@spitakia.gr.
A
Chios si mangia benissimo e, soprattutto, si possono gustare piatti
diversi rispetto al resto della Grecia. Nel corso del racconto, ho
spesso citato le cose buone che abbiamo assaggiato nelle taverne dei
vari paesi dove, oltre ad una piacevolissima atmosfera, abbiamo
sempre trovato qualche novità da provare. Chios mi ha confermato che
l’Egeo del Nord è la zona della Grecia in cui si mangia meglio in
assoluto: la cucina non ha dovuto adattarsi ai gusti del turismo
internazionale e conserva inalterati i sapori di un tempo, ha
piacevoli contaminazioni orientali, utilizza un maggior numero di
ingredienti e li associa con maggiore cura. Pertanto Samotracia,
Limnos, Lesbo e Chios rappresentano un viaggio enogastronomico
fantastico. Non dimentichiamo poi che Chios è la patria del mastice
e del mandarino, protagonisti di tanti dolci, sorbetti, marmellate
e…...
A
parte le diverse taverne via via citate faccio solo un appunto
particolare per il nostro:
POYSSIKO
(Roussiko) a Thimianà, lo trovate al centro del paese, vicino
alla grande chiesa a fianco della quale potete parcheggiare. E’ una
taverna bellissima, situata in una antica casa di pietra, alcuni
tavolini sono sistemati nel cortiletto fiorito, altri su un piccolo
terrazzo sopraelevato, altri ancora su un tetto piatto: a mio avviso,
questo è un posto bello, fresco e suggestivo dove cenare. L’ambiente
e la tavola sono molto curati, l’insieme ha un aspetto piuttosto
elegante e rimarrete davvero stupiti nel constatare che i prezzi sono
assolutamente in linea con le altre taverne. La qualità dei cibi è
ottima e vengono anche ben presentati. Non mancate di dare una
sbirciata all’interno dove sono esposti bellissimi costumi
tradizionali e vecchie fotografie. La spesa è sempre stata fra i 25€
e 30€ in due. Straconsigliata.
A
Chios si possono comprare cose meravigliose che non si trovano
altrove. Il Masticha, il leader indiscusso, dolci, biscotti e
caramelle, liquori, saponi e linee cosmetiche, polvere e pasta di
masticha per uso gastronomico, perle di masticha grezzo. Gli agrumi,
leader mandarino e cedro, marmellate e gelatine, liquori, essenze e
dolci. Mandorle, pistacchi e fichi, in tutte le variabili possibili.
Le ceramiche di Armolià.