di Giuseppe Brenna
Il Monte Athos è uno dei luoghi più
misteriosi e meno accessibili d’Europa.
Con
oltre 2000 metri d’altezza, il Sacro Monte (AghionOros)
è situato nell’estremità della penisola più orientale della Calcidica,
attraversata da una dorsale ricoperta da fitte foreste che s’inoltra nel blu
dell’Egeo per circa 56 chilometri.
La
penisola fa parte della Grecia ma costituisce una repubblica monastica autonoma
sotto la giurisdizione del Patriarca di Costantinopoli ed amministrata dalla IeraEpistasìa, assemblea degli abati dei
20 monasteri regnanti.
Il
mito vuole che la montagna sia stata originata da un enorme masso scagliato dal
gigante Athos nel tentativo di uccidere Poseidone durante la guerra tra gli dei
dell’Olimpo ed i titani.
Dal
nono secolo si tramanda che la Vergine, in viaggio con l’evangelista Giovanni,
approdasse a seguito di una tempesta lungo i lidi della penisola, rimanendo
affascinata dalla bellezza del luogo. Da allora, la zona del monte Athos è nota
come il “giardino della Vergine” ed è ritenuta lapiù sacra agli ortodossi dopo
la città di Gerusalemme.
Da
sempre meta di eremitaggio ed ascetismo, nel 963 d.C. venne fondato sulle
pendici orientali del Monte il primo monastero (la Grande Lavra) da Sant’Atanasio,
grazie ai finanziamenti dell’imperatore bizantino NiceforoFokas. Atanasio morì
6 anni dopo per il crollo della cupola della chiesa che stava aiutando a
costruire con i suoi confratelli, tuttavia l’edificazione di nuovi centri
monastici continuò negli anni a venire creando una complessa rete di rapporti
regolati dai typicon, insieme di
regoleche sono state riviste per l’ultima volta nel corso del’700 e che,
sostanzialmente invariate, vengono applicate fino ai giorni nostri. Tra queste
regole rientra quella che vieta l’accesso nella penisola alle donne e a tutti
gli animali di sesso femminile (tranne i gatti e gli uccelli): tale
interdizione risale al 1045 e sarebbe motivata dal fatto che la Vergine sia
l’unica a potervi risiedere, ma più prosaicamente si ammette che la presenza
del gentil sesso possa distogliere i monaci dalla preghiera e dalle occupazioni
quotidiane.
In
previsione del crollo di Bisanzio gli abati riuscirono ad accordarsi con i
turchi, accettando il loro dominio formale fino al 1912, quando cioè il
territorio del Monte Athos venne incorporato nel regno di Grecia.
Nel
corso della seconda guerra mondiale Hitler accettò di farsi nominare dagli abati
come loro protettore e questo risparmiò i monasteri da possibili distruzioni
durante l’occupazione nazista; così quel mondo arcano, ricco di tesori e
tradizioni secolari è giunto pressoché inalterato all’alba del secondo
millennio dal cuore del medioevo.
La
penisola del Monte Athos si raggiunge agevolmente da Salonicco da cui dista
circa 2 ore. Meno agevole invece è l’organizzazione del viaggio, che presuppone
l’ottenimento di uno speciale permesso – il diamonitirion
– da richiedersi con largo anticipo all’ufficio dei pellegrini del Sacro Monte
e che viene rilasciato ogni giorno per non più di 10 visitatori non ortodossi
(a patto di essere di sesso maschile, ovviamente), a cui deve seguire
l’accettazione della richiesta d’ospitalità presso i monasteri in cui si
intenda alloggiare.
Ouranoupolis, la città del cielo, è la porta d’accesso al Monte Athos e da qui
partono le tradizionali crociere che permettono a tutti di ammirare – ma a non
meno di 500 metri dalla costa – gli spettacolari monasteri medioevali del
litorale occidentale.
Nella
cittadina, vivace centro balneare estivo, ha sede il minuscolo ufficio che si occupa
del rilascio dei permessi aperto sin dalle 7 del mattino.
Poco
più a sud di Ouranoupolis la penisola è attraversata dalla “frontiera”, un
basso muro di pietre a secco invalicabile per chiunque, tranne che per i
pompieri in caso di improvvisi incendi.
Il
Monte Athos è essenzialmente un luogo di pellegrinaggio e, anche per chi non è
ortodosso, offre l’opportunità unica di partecipare alla vita quotidiana dei
monaci scandita dalla preghiera e da antiche regole rimaste immutate nel corso
del tempo.
Nei pressi della torre bizantina, partono i traghetti diretti verso il porto di Dafni, collocato nel centro della penisola; quello più lento si ferma anche presso i vari monasteri lungo la costa, la maggioranza dei quali dispone di arsanas, cioè di piccoli moli con torri medievali e ricoveri per le barche. Si raggiunge così MonìXenophontos, la tappa iniziale.
Il monastero sorge in prossimità della spiaggia ed ha una tipica struttura atonita, caratterizzata da alte mura merlate perimetrali con terrazze di legno affacciate sul mare. L’aspetto esterno è imponente ed è evidente la funzione difensiva necessaria per respingere nel passato gli assalti dei predoni.
Varcato
il cancello d’ingresso si accede in un’altra dimensione, dove le lancette degli
orologi seguono l’orario giuliano come nell’antica Bisanzio, quando il tramonto
coincideva con la mezzanotte.
Al centro di ogni monastero si trova il katholicon, cioè la chiesa principale e più antica.
Al centro di ogni monastero si trova il katholicon, cioè la chiesa principale e più antica.
A
Xenophontos ne è stata costruita anche una seconda utilizzata per i vespri
oltre che per le funzioni notturne che iniziano alle 2:00 e terminano verso le
5:00 del mattino del nostro orario.
Nella
foresteria, i monaci accolgono i pellegrini in modo piuttosto informale,
offrendo caffè greco e loukoumi e ciascuno procede direttamente a scrivere i
propri dati sul registro prima dell’assegnazione delle stanze. Fratello
Georgios accoglie gli stranieri con un buon ingleseedindica una camera nel
piano superiore,quello deputato ad ospitare le persone di altre confessioni. Spiega
gli orari dei pasti e delle funzioni e, inizialmente, si è un po’ spaesati
anche perché gli animi secolarizzati e poco inclini alla pratica religiosa
rimangono piuttosto perplessi all’idea di dover partecipare, per di più nel
cuore della notte, a così tante ore di preghiera ed in una lingua
incomprensibile (il greco bizantino)… in realtà si scopre ben presto che il
coinvolgimento nelle elaborate liturgie orientali fa parte integrante di un
viaggio così particolare come quello sul Monte Athos.
C’è
tempo da dedicare alla visita del vicino MonìDochiariou
che si raggiunge a piedi in 20 minuti con un agevole sentiero lungo la costa.
Dochiariou
ha un’architettura elaborata ed i vari edifici – spesso con tetti multicolori –
lo fanno assomigliare ad un castello fiabesco. Il katholicon, che normalmente è accessibile soltanto a coloro che
pernottano nel monastero e che ne seguono le funzioni, fortunatamente è aperto.
Si tratta dell’edificio religioso più grande della repubblica monastica,
ricchissimo di icone ed affreschi che ricoprono interamente le alti pareti
interne. Al vasto nartece - l’ambiente situato all’ingresso– segue la chiesa
vera e propria in un tripudio di icone, candelabri e lampadari dorati.
Percorrere
i sentieri e le antiche mulattiere della penisola rientra tra le attività più
piacevoli. Spesso si incrociano piccoli eremi e cappelle affacciate a picco sul
mare.
Si
ritorna a Xenophontos in tempo per i vespri. I monaci, con le lunghe tonache
nere, raggiungono con calma ed in ordine sparso la chiesa principale girando in
senso orario attorno a quattro pilastri dove omaggiano e baciano più volte le
icone, seguiti dai pellegrini. Poi lentamente tuttiprendono posto sulle sedie
di legno dalle alte spalliere addossate alle pareti della chiesa.
Terminati
i vespri, ci si trasferisce nel refettorio alle 17:00 dovela cena si consuma in
rigoroso silenzio, mentre uno dei monaci legge le Sacre Scritture per circa 15
minuti. Quando la preghiera termina, i monaci vanno via e tutti i commensali,
anche se non sono riusciti a terminare il pasto, sono tenuti ad alzarsi e aduscire
a loro volta. L’abate, a cui i monaci devono cieca obbedienza e che siede in un
tavolo speciale in fondo alla sala affrescata, benedice all’uscita del
refettorio i fedeli che non mancano di omaggiarlo e di baciarne la mano od un
lembo delle vesti.
Al
tramonto si chiudono le porte del monastero e nessuno è più autorizzato ad
uscire od entrare fino al mattino seguente.
Lentamente
cala la sera e la foresteria rimane l’ambiente più animato e poi, quando tutti
si sono ormai assopiti, alle 2 di notte un monaco gira nel piazzale percuotendo
una tavola di legno e richiamando i confratelli ed i pellegrini alla preghiera.
Le
campane svegliano anche i più riottosi… poi ciascuno è libero di alzarsi e di
raggiungereil consesso dei monaci… la curiosità ha il sopravvento e nel
silenzio del cielo stellato si raggiunge la chiesa. Sono uno dei primi ad
entrare; inveromolti arrivano con calma e non è necessario essere puntuali per presenziare
tutta la funzione.
Non
c’è la luce elettrica, le icone e gli ottoni rifulgono tra bagliori delle
candele e delle lampade ad olio.
I
salmi sussurrati, i fruscii delle vestidei monaci che si raggirano come ombre
tra le candele e le volute d’incenso, elaborati rituali ed i tre segni della
croce ripetuti dinnanzi alle icone, i volti ieratici dalle lunghe barbe
bianche…. immagini che si affastellano mentre seduti nella penombra si
alternano fasi di dormiveglia e stato cosciente… e poi ci si ritira nuovamente
nella stanza della foresteria, addormentandosi nell’attesa di un nuovo giorno.
Le
preghiere del mattino durano circa un’ora nella chiesa più piccola ed antica e
dall’atmosfera raccolta, poi il pranzo alle 9:00 nel refettorio a cui si accede
attraversando un’ambiente affrescato.
Verso
le 11.30 ecco affacciarsi il traghetto sul molo che raggiunge Dafni. Prendendo
il pullman allo sbarco, si arriva a Karyes,
il capoluogo della penisola dove ha sede la IeraEpistasìa.
Si tratta di una graziosa cittadina dall’aspetto ottocentesco, dove è possibile
trovare negozi e qualche locanda. Da qui partono i minibus per i vari monasteri
della Sacra Montagna.
MegistisLavras (o Grande Lavra) è il
monastero più antico ed isolato. Ci vuole più di un’ora da Karyes per
raggiungerlo attraversando una disagevole strada sterrata. Lungo il percorso si
incrocia una solitaria torre in rovina: è ciò che resta dell’antico convento
degli Amalfitani dove anche i monaci cattolici avevano una loro rappresentanza,
venendo in seguito abbandonato.
Lavra
è tutt’oggi la struttura più grande ed importante del Monte Athos, il primo
nella gerarchia tra i 20 monasteri regnanti. Dall’esterno, le torri massicce vegliano
sulla costa a strapiombo all’ombra dell’aguzza vetta piramidale della Sacra
Montagna, avvolta dalle nubi.
Nella
foresteriail custode accoglie calorosamente i pellegrini e, dopo la
registrazione di rito, mostra il dormitorio comune, simile ad un collegio degli
anni ’20.
I
monasteri dell’Athos sono oggi patrimonio dell’umanità sotto l’egida
dell’UNESCO e molti hanno ricevuto copiosi finanziamenti europei per il
restauro.
La
Grande Lavra è immersa in un’atmosfera decadente e romantica, infatti gran
parte dei suoi edifici sono stati abbandonati: oggi sono rimasti circa una
cinquantina di occupanti rispetto alle migliaia che in passato abitavano dentro
le sue mura. Incredibile pensare che la struttura abbia attraversato i secoli
indenne da incendi, triste destino invece toccato a molti altri monasteri più
volte ricostruiti nel corso del tempo.
Il katholicon, avvolto nell’oscurità, è
particolarmente affascinante di notte durante le funzioni. Si respira un’aria
medioevale, gli stessi religiosi sembrano stati catapultati dal lontano
passato. In una cappella laterale è conservata la tomba di Sant’Atanasio, il
fondatore del monastero, attorniata da icone e mura mirabilmente affrescate ed
annerite dal fumo delle candele.
Il
refettorio, con i suoi antichi tavoli di marmo bianco, conserva anch’esso una
straordinaria atmosfera di altri tempi.
Il
minibus attende all’alba per riportare i pellegrini verso Karyes. Lungo la
strada, un prete ortodosso a bordo fa fermare il mezzo e ci fa raggiungere a
piedi la fonte sacra di Sant’Atanasio, dove sgorga dell’acqua santa che i devoti
bevono e credono miracolosa.
Karyes
sorge sulle alture nel mezzo della penisola e spesso è immersa da una fitta
nebbiaal mattino. Interessante visitare la cattedrale Protàtoned il vicino MonìKoutloumousiou, dove cortesemente
un monaco apre le porte del katholicon
per i pochi pellegrini rifugiatisi nell’antistante corridoio coperto al riparo
da una pioggia scrosciante.
Si
torna verso la costa occidentale e al MonìXiropotamou,
costruito a 200 metri sul livello del mare. Rigorosi i controlli all’ingresso
per verificare sia la validità del diamonitirion
che la prenotazione presso la foresteria. La struttura ha una pianta quadrata
ed è stata meticolosamente restaurata, in particolare gli alloggi sono molto
puliti e moderni, quasi asettici. Nel katholicon
è conservata una preziosa reliquia: trattasi del frammento più grande della
croce di Cristo, oggetto di grande venerazione nel corso dei vespri… peccato
che ai non ortodossi non sia consentito parteciparvi, oltre ad essere
interdetto persino l’accesso alla chiesa.
Non
è nemmeno consentito condividere i pasti con i monaci nel refettorio, all’uopo
è stata organizzata una sala separata.
Non
essendoci molto da fare a Xiropotamou a causa delle rigide regole, c’è il tempo
per una rapida visita del monastero russo di Pantaleimonos, a circa 45 minuti di cammino.
Trattasi
del complesso monastico più imponente della costa occidentale dalle cupole a
cipolla tipiche delle basiliche moscovite o di San Pietroburgo. E’ la
destinazione preferita dai pellegrini di nazionalità russa, spesso frequentato
da ricchi oligarchi oltre che dallo stesso presidente Putin che è stato
ospitato più volte in questo luogo.
La
chiesa è circondata da edifici robusti e piuttosto moderni, visto che i
finanziamenti dalla Grande Madre Russia non sono più venuti a mancare dopo il
crollo del comunismo. Non c’è molto tempo da poter trascorrere qui, si deve
tornare a Xiropotamou prima che i cancelli vengano chiusi alle 17:30 del nostro
orario.
Nel
complesso, la partecipazione alla vita del monastero in questo caso si è
rivelata un po’ deludente, ma forse è stata anche l’occasione giusta per un
buon sonno ristoratore dopo due notti d’intensa preghiera (…)
Dopo
una lauta colazione, lascioXiropotamou. Sulla strada principale riesco ad
ottenere un passaggio per Karyes e, con un taxi piuttosto costoso, raggiungo
nuovamente la costa orientale della penisola ed il MonìIviron(Monastero dei Georgiani), ultima tappa di questo
singolare pellegrinaggio.
Iviron
è il terzo complesso monastico più antico dell’Athos ed era un tempo abitato da
monaci georgiani. Gli antichi greci infatti chiamavano Iberia del Caucaso il
territorio corrispondente all’attuale Georgia.
Il
colpo d’occhio del grande edificio rettangolare è notevole, con le sue alte
mura verticali sormontate da piccole cupole, ballatoi e tetti colorati. La
torre dell’arsanased altri edifici in
prossimità del molo ospitano una segheria, dove viene lavorato ed esportato il
legno delle foreste del Sacro Monte. Un sentiero lastricato conduce al
monumentale ingresso marmoreo ed al cortile. Sono le 8 del mattino ed è ora di
pranzo, perciò vengo invitato a partecipare al pasto prima di essere accolto
nella foresteria.
Tra
quelli visitati, Iviron è il monastero più frequentato e dove ho incontrato
maggiori difficoltà per la prenotazione. I pellegrini sono invitati – vista
l’alta richiesta – a non soggiornare per più di una notte, regola che viene
però applicata anche in tutti gli altri complessi. Saliti due piani di scale di
legno, mi viene assegnata una stanza con tre letti ma che occupo singolarmente.
La finestra si affaccia sulla grande torre del refettorio.
Una
piccola cappella custodisce l’icona della Madonna Portaitissa, ritenuta miracolosa. Si narrainfatti che tale sacra
immagine sia approdata da sola fin qui durante la furia iconoclasta che
imperversò nell’impero bizantino nella prima metà dell’ VIII secolo.
Nel katholicon è custodita una delle più preziose
iconostasi del Sacro Monte.
Gli
orari delle funzioni del MonìIviron sono meno proibitivi, iniziando alle 7 di
sera fino alle 10:00. La sacra liturgia segue rituali solenni e suggestivi. I
celebranti, dagli elaborati paramenti, accendono le candele dei lampadari ed i
monaci, suddivisi in due gruppi, compongono due cori dalle voci sublimi.
Varie
volte nel corso della cerimonia, un religioso fa oscillare un incensiere con un
tintinnio dei campanelli che risuona tra gli absidi, girando tra i vari ambienti
della chiesa. Al suo passaggio i fedeli si alzano in piedi in rispettoso
silenzio.
Ed è
il rito l’aspetto caratterizzante dell’ortodossia, senza il quale non si
ritiene possibile praticare correttamente la fede cristiana e che costituisce
forse il motivo più profondo di critica verso il cattolicesimo, ritenuto sempre
più secolarizzato e snaturato nella sua identità.
Le
campane tornano a suonare alle 6 del mattino per richiamare i fedeli alla
preghiera, seguita dal pranzo alle 8:00. Vengono fatti entrare prima i
pellegrini, poi in processione entrano i monaci cantando, preceduti dall’abate
attorniato da due novizi che sorreggono dei candelabri accesi.
Il diamonitirion è ormai scaduto ed è tempo
di rientrare nel mondo profano.
Tornato
al porto di Dafni, il traghetto veloce arriva rapidamente a Ouranoupolis in
coincidenza con il pullman per Salonicco.
Il
capoluogo della Macedonia (che i greci chiamanoTessalonikì) è la seconda città ellenica per dimensioni ed
abitanti. Sede di un’importante università, ha una vita notturna molto vivace,
visto l’alto numero di giovani studenti.
La
città era anche il centro più importante dell’impero d’Oriente dopo
Costantinopoli.
Resti
delle massicce mura bizantine sopravvivono nella città alta (eptapirgos) da dove si ammira un bel
panorama.
In
prossimità delle mura, il piccolo Monastero di Vladatonè tra le principali
attrazioni per i suoi pregevoli affreschi assieme alla chiesetta di Osios David
e la Basilica di San Demetrio.
Salonicco
era una città elegante e cosmopolita, abitata da una ricca comunità ebrea
sefardita e dignitari ottomani, che vi avevano costruito eleganti residenze in
stile francese.
Un
furioso incendio nel 1917 devastò gran parte del centro storicoed i progetti di
ricostruzione affidati ad un architetto francese furono realizzati soltanto in
parte.
Negli
anni ’20 fu creato il boulevard e la piazza Aristotelou, fiancheggiati da
eleganti edifici deco’ di ispirazione moresca; purtroppo la restante parte
della città ha gravemente risentito della speculazione edilizia nel secondo
dopoguerra.
Gli
scavi hanno riportato alla luce l’antica agorà ed i resti del palazzo di
Galerio, imperatore romano a cui fu dedicato il noto arco di trionfo marmoreo e
la cosiddetta “rotonda” che avrebbe dovuto ospitarne il mausoleo. La rotonda è
oggi un museo con i resti dei mosaici che adornano la cupola e mostre
temporanee. Il vicino minareto ricostruito ricorda ai visitatori della sua
trasformazione in moschea durante la dominazione ottomana, analogo destino
toccato allabizantinaAyaSophia, per certi versi simile nell’architettura a
quella di Istanbul e riconvertita in chiesa dopo la liberazione della città da
parte dei greci.
Sul
lungomare, campeggia la Torre Bianca, simbolo della città e sede al suo interno
di una mostra fotografica.
In
prossimità della Torre, vale la pena di visitare anche il Museo Archeologico e
quello Bizantino.
Ad
un’ora da Salonicco è possibile raggiungere le rovine di Pella, l’antica capitale della Macedonia di Filippo II e Alessandro
il Grande. L’area archeologica è molto estesa, per quanto i resti dell’agorà e
delle splendide domus siano ormai piuttosto modesti.
Il
vicino museo archeologico di Pella conserva i meravigliosi mosaici delle ville,
al riparo dalle intemperie e manufattiappartenuti a matrone e soldati macedoni.
Straordinario
il museo delle tombe reali dell’antica Vergìna,
dove sotto un vasto tumulo di terra sono state riscoperte le tombe di Filippo
II e del figlio di Alessandro il Grande intatte nei loro corredi funerari.
All’interno del tumulo sono mirabilmente espostenella penombra i ricchi reperti
d’oro tra cui urne, armi, diademi e una straordinaria collezione di vasellamed’argento.
Si
conclude così questo viaggio, dove senz’altro il Monte Athos ha rappresentato
la meta più affascinante per i risvolti spirituali oltre che per uno stile di
vita dedicato alla preghiera e al silenzio, che segue ritmi antichi e spesso
inconcepibili. Un viaggio nell’anima di Bisanzio, ancora viva in questa estremità
della Calcidica, dove la storia sembra aver interrotto il suo inesorabile
corso.
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